Balliamo sull’orlo di un precipizio, meglio andare a votare
Chiudiamola qui la legislatura appena iniziata. Anzi, dichiariamola mai nata e scavalchiamo scaramanticamente il 17. Meglio imboccare una strada in nome della responsabilità che sostare nel pantano dell’immobilismo opportunista così familiare nelle cose della politica. E sì, perché le scelte sbagliate possono essere corrette in corso d’opera mentre di non scelte si può invece addirittura morire. E se oggi non solo Bersani ma l’Italia intera è finita in cul de sac è soprattutto perché un anno e mezzo fa è stato preferito Monti al responso delle urne. Ovunque sarebbe stata restituita la parola agli elettori dopo le dimissioni di un governo, quello di Berlusconi, investito di una chiara legittimazione democratica. Ovunque, ma non da noi, evidentemente. Al contrario, gli italiani sono stati costretti a sciropparsi un esecutivo tecnico, oggi annegato nell’ignominia del dossier indiano dopo aver fallito uno a uno tutti gli obiettivi per i quali era stato inventato: dal risanamento finanziario al contenimento del debito pubblico, dalla riduzione della spesa alla riconquista della credibilità internazionale. L’unica missione che gli è riuscita, purtroppo alla perfezione, è consistita nell’aumento delle tasse e del numero dei poveri. Un anno e mezzo fa la democrazia è stata immolata sull’altare dello spread e di un’isteria collettiva che ha fatto da rumorosa colonna sonora a collaudatissime logiche emergenziali dietro le quali solitamente si consumano in Italia le peggiori fetenzie. Ecco perché non si è lontani dal vero se si dice che la situazione attuale è essa stessa figlia di tatticismi esasperati, di un’assurda e incomprensibile refrattarietà alle urne che non ha eguali nelle altre democrazie. È come se noi pretendessimo di far garantire la stabilità delle istituzioni dalla paura: dei mercati, dello spread, della Bce e persino della trimestrale di cassa. Altrove sono i meccanismi elettorali, le costituzioni, materiali e formali, a consentire un’ordinata scansione delle scadenze politiche e delle fisiologiche alternanze di governo. Da noi, no. Noi balliamo sempre sull’orlo di un precipizio e consideriamo il popolo un eterno minorenne da consultare solo quando non è proprio possibile farne a meno. È ora di cambiare registro. Avessimo avuto più fiducia nei cittadini e meno in tanti dotti, medici e sapienti, sostanzialmente inutili nella proposizione dei loro astratti e onanistici rimedi, a quest’ora, probabilmente, non ci troveremmo nella condizione di cittadini stretti tra il presente di un ormai ex-governo e la prospettiva del solito esecutivo balneare con annessa la sua, immancabile, ultima spiaggia.