Basta con gli showmen, i nani e le ballerine: sull’usura di Stato non si scherza. E neanche sul lavoro

21 Mar 2013 20:31 - di Francesco Signoretta

Folgorato (in ritardo e solo in parte) sulla via del centrodestra. Ormai agli sgoccioli e incalzato da tutti, persino dalla Commissione Ue, il governo tecnico ha partorito un topolino. Meglio un topolino che niente. Nella seconda parte dell’anno verranno sbloccati 20 miliardi di euro per pagare i debiti della Pubblica amministrazione. Finalmente. Quando il Pdl l’aveva proposto, la risposta era stata sdegnata, letta come una “minaccia” se non come una “provocazione”. Ora invece qualcuno si è reso conto che quella proposta rispondeva a un’esigenza reale. Certo, la somma prevista dai tecnici non esaurisce il problema. In un momento di recessione come l’attuale, con le banche che non fanno più credito, i consumi contratti all’osso e i redditi di molte famiglie non più in grado di assicurare a milioni di italiani un’esistenza libera e dignitosa ci vuole molto di più. E lo Stato dovrebbe almeno onorare gli impegni contratti con le aziende per lavori eseguiti e mai pagati: circa 71 miliardi di euro, secondo alcune stime, sufficienti da soli a garantire un punto in più di crescita e centinaia di migliaia di posti di lavoro aggiuntivi. Non ci sono più scusanti. «Dall’Italia aspettiamo un piano per i pagamento del pregresso e le stime aggiornate sul suo ammontare», ha detto il  vicepresidente dell’esecutivo comunitario Antonio Tajani. E sì, perché dopo le ultime intese in sede Ue  adesso i pagamenti possono essere fatti in tempi brevi «senza violare il Patto di stabilità», in linea con «la ratio» della direttiva sul ritardo dei pagamenti. L’uovo di Colombo per il nostro Paese, che aveva sempre addotto vincoli comunitari per giustificare colpevoli ritardi della Pubblica amministrazione che non hanno eguali per quanto riguarda gli altri partner. Ci sono aziende che aspettano da anni e, nel contempo, vengono costrette ugualmente a pagare le tasse e, talvolta, chiudono i cancelli e mandano a casa i lavoratori. In questo contesto sbloccare 20 miliardi non basta, serve un piano che garantisca il ripiano di queste somme dovute alle imprese in un periodo perentorio di tempo che la Ue individua in non più di due anni. È un passo particolarmente urgente, per dare o stop ai fallimenti favorire la creazione di posti di lavoro, ridare liquidità e accesso al credito. Si può fare, secondo la Cgia di Mestre, senza nemmeno mettere mano al portafogli, semplicemente  esentando le imprese dal pagamento dell’Irap per due anni. E se questo non è possibile si può anche pensare a un’esenzione dell’Imu per 7 anni e mezzo. Basteranno a rimettere in moto il sistema economico italiano? Probabilmente no. Ma la Cgia di Mestre qualche conto l’ha fatto: con 70 miliardi si possono costruire dieci Ponti di Messina, oppure finanziare 8,5 volte la Tav Torino-Lione. Secondo molti analisti i debiti che la Pubblica amministrazione deve ancora onorare ammontano a 100 miliardi e, forse, addirittura a 150. Onorando la cambiale tornerebbero alle imprese i soldi che le banche hanno ricevuto dalla Bce a tasso agevolato per favorire il credito alla piccola impresa e che, invece, sono state dirottate verso l’acquisto di titoli pubblici, per abbassare lo spread e far fare bella figura al governo Monti. Ora il problema Monti – per fortuna – non c’è più. E se si va oltre lo show comico dei grillini, qualcosa di concreto si può fare.

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