Dopo il monito ai giudici, “Repubblica” scarica Napolitano: da baluardo ad amico del giaguaro…
Non gli hanno ancora dato del distinto vecchietto da gerontocomio ma potrebbero farlo nelle prossime ore. Giorgio Napolitano, l’irreprensibile notaio super partes, che si mette a dire che è «inammissibile» liquidare Berlusconi per via giudiziaria? Che riceve la delegazione del Pdl e cerca di moderare il braccio di ferro tra il secondo partito italiano e le toghe? Irriconoscibile. Traditore. La sinistra è ammaccata, delusa e molto confusa. Basta dare un’occhiata ai titoli dei quotidiani del variegato mondo demo-progressista per capirlo. Smarrita la bussola del Colle, utilissima in questi sette anni per uscire dai marosi provocati dal Cavaliere pirata, l’Unità preferisce ignorare (almeno in prima pagina) la reprimenda del capo dello Stato al Csm e concentrarsi sul “presidente buono”, quello che bacchetta con la solennità della prima carica dello Stato l’irruenza del centrodestra. “L’altolà di Napolitano al Pdl” è il titolo a tutta pagina del quotidiano che archivia la dolorosa pratica con l’intervista all’ex vicepresidente del Csm, Carlo Federico Grosso, per il quale «i fuochi li ha accesi tutti una parte (Berlusconi, ndr) e non ci sono precedenti al mondo». Repubblica, al contrario, si accorge fin troppo del “tradimento” del compagno Giorgio e gli spara addosso con un editoriale sdegnato di Massimo Giannini dal titolo “Un premio ai sediziosi”. Napolitano non è più lui… Da faro dell’antiberlusconismo, da demiurgo del governo Monti, alla cui corte tutti i notabili della sinistra si sono inginocchiati implorando il bis, a regista del salvacondotto per il Cavaliere. Se è legittimo e doveroso che il presidente della Repubblica invochi il ristabilimento di un clima corretto e costruttivo nei rapporti tra politica e giustizia, «questa volta è andato oltre», scrive Giannini annotando con la matita rossa gli imperdonabili errori dello studente del Colle. «Questa volta – si legge sul quotidiano fondato da Scalfari – Napolitano pronuncia altre parole che nella contesa in atto tra la “destra di piazza” e la magistratura configurano un’evidente sproporzione politica». Giudicando «comprensibile» la preoccupazione del Pdl di «veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale in pieno svolgimento» Napolitano, di fatto, riconoscerebbe al Cavaliere un legittimo impedimento automatico, «quasi un lodo Alfano provvisorio che gli fa da scudo ai processi in corso. Il tutto – va giù pesante Repubblica – nel silenzio assordante e colpevole del Pd e della sinistra, che difende il suo fortino mentre i vecchi arci-nemici e i nuovi falsi-amici saccheggiano quel che resta dell’Italia». Parole che tradiscono rabbia e delusione. Più dolorose delle picconate di Cossiga, le rampognate di Napolitano di fine mandato stordiscono commentatori e attori della politica “sinceramente” antiberlusconiana. Bei tempi quelli in cui il popolo viola, gli incazzati del no B day, si affidavano ciecamente a re Giorgio chiedendo con la Costituzione sotto il braccio di «non firmare».