L’odissea dimenticata di 3000 italiani detenuti all’estero: una giornata di riflessione a Pistoia

16 Mar 2013 20:25 - di Antonella Ambrosioni

Ci sono circa tremila detenuti italiani all’estero di cui si conosce poco o nulla. C’è chi finisce in carcere per le proprie responsabilità e chi, purtroppo, perché vittima di una ingiustizia. Alcuni casi finisco bene, altri, se non addirittura con la morte, finiscono per rovinare la vita degli involontari protagonisti. Per sempre. In questo terribile scenario, qualche domanda viene spontanea. Lo Stato italiano fa tutto ciò che è in suo potere fare? Un sabato di riflessione da sottrarre allo shopping convulso o ad altri rituali più effimeri è sempre salutare. È quel che è accaduto a Pistoia dove per merito dell’associazione culturale “Sur Les Murs” si è discusso di un libro-inchiesta molto serio. I giornalisti Federico Cenci e Fabio Polese sollevano il velo sulla sorte di tremila nostri connazionali che patiscono nelle carceri d’oltreconfine in attesa di giudizio. Il libro s’intitola Le voci del silenzio, storie di italiani detenuti all’estero (Eclettica Edizioni) e viene presentato al Museo Marino Marini dove cattura l’interesse di molti. La sala è gremita, come del resto in altre occasioni in cui l’Associazione si è resa promotrice di iniziative tese a smuovere le acque stantie del politically correct sorretto da una buona dose di disinformazione.  Il libro ci fa conoscere l’odissea di tanti italiani detenuti all’estero. Le spese legali sono elevatissime e, molto spesso, le famiglie non sono neanche in grado di permettersele. Le strutture consolari italiane dovrebbero assicurare l’assistenza per affrontare le complesse difficoltà linguistiche? E per sostenere le problematiche tecnico-giuridiche? Nei casi che riguardano le persone già condannate, gli uffici consolari, secondo la Convenzione di Strasburgo, dovrebbero far ottenere al detenuto il trasferimento in Italia per far scontare la pena in uno dei nostri penitenziari. Perché non viene sempre fatto? «Il libro non ha la presunzione di fungere da giudice e dichiarare l’innocenza a spada tratta dei nostri connazionali, ma semplicemente vuole dar voce a chi non ne ha. Un atto doveroso nei confronti di chi, privato di tutte quelle garanzie giuridiche che sono alla base del diritto penale, è rinchiuso in pochi metri quadri di cemento armato in qualche angolo del mondo», dice Simone Magnanelli, vice presidente di Sur Les Murs, che apre il dibattito.  A parlare sono i fatti e le famiglie coinvolte. Il lavoro è strutturato in una raccolta di interviste, sei, realizzate con familiari o amici dei detenuti oppure, nei casi di Carlo Parlanti e Fernando Nardini, con i protagonisti stessi di due delle tremila storie in questione. apre il lavoro proprio l’intervista a Parlanti, avvenuta telefonicamente dalla prigione californiana di Aval.

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