Nel Pd c’è un leader a metà e un partito a… un quarto
Nulla di nuovo sul fronte (poco) occidentale del Pd. La direzione del partito ha riproposto vecchi schemi e parametri sbagliati, i famosi 8 punti non sono granché, buoni per ogni stagione e per sfamare qualche irriducibile. Ma l’interrogativo – fino a poco fa solo sussurrato – ora è incessante: Bersani è veramente un leader? Il dubbio che non lo sia sta assalendo iscritti, simpatizzanti e dirigenti. Per carità, di politica ne mastica da una vita, sa come uscire dalle sabbie mobili dei voti parlamentari, magari pensa di attrarre a sé un gruppetto di grillini. Resta però il fatto che si sia lasciato mettere in gabbia non solo da Berlusconi e da Grillo, ma persino da un alleato come Vendola, che ha preteso le mozioni d’affetto prima del voto rendendosi non scaricabile. In più, c’è in Bersani la voglia di imbarcare Monti. Dopo la bocciatura elettorale del Professore, sarebbe un altro tentativo di suicidio, come se non bastassero tutti quelli fatti da un mese. Sullo sfondo, a mo’ di incubo democrat, c’è Silvio Berlusconi. Con lui il Pd non vuole parlare, ma è proprio il Pdl che mette a punto le proposte più significative in grado di dare al Paese quella scossa che è assolutamente necessaria se si vuole passare dalla recessione e dalla miseria, alla crescita, a redditi più decorosi e a una tassazione meno opprimente. Berlusconi ha lanciato la sfida con l’abolizione dell’Imu, i tagli all’Irpef e all’Irap e la detassazione per le imprese che assumono giovani. Ma dalla Direzione Pd non arrivano né risposte né proposte. Il problema Imu sulla prima casa si può affrontare, ma solo per qualche ritocco, sul resto è buio assoluto. L’unico chiodo fisso resta il conflitto di interessi. Un argomento, questo, che ormai non interessa più a nessuno. «Così – fa notare Angelino Alfano – il Pd manda il Paese a sbattere». Renzi si defila, chi è causa del suo mal pianga se stesso. E Bersani resta col cerino in mano. E stavolta rischia di bruciarsi.