Storie di malagiustizia: l’assassino di Tommy potrebbe uscire prima di Angelo Rizzoli
L’assassino e il produttore. Storie parallele di burocrazia carceraria. Da una parte l’assassino: Mario Alessi, protagonista del più efferato delitto della cronaca recente (il 2 marzo 2006 rapì e uccise a badilate Tommaso Onofri, 17 mesi ancora da compiere). Dall’altra Angelo Rizzoli, 70 anni, produttore cinematografico finito in galera dal 14 febbraio scorso con l’accusa di bancarotta, in attesa del primo interrogatorio da 40 giorni. La sclerosi a placche, senza riabilitazione o fisioterapia, avanza rapidamente. Ma «l’unica certezza è che i domiciliari mi sono stati negati». In questi «giorni ho parlato solo con il giudice per le indagini preliminari. Venti minuti, aveva fretta» e ora «sabato dovrei vedere i pubblici ministeri, credo che in quell’occasione si deciderà il mio futuro». Rizzoli è ricoverato nello stesso reparto dove morì Stefano Cucchi, e la sorella Ilaria ha lanciato un appello perché «non faccia la fine di mio fratello. Ancora una volta nella realtà delle carceri la burocrazia è sopra tutto, è senza umanità». Anna Maria Bernini, senatrice e portavoce vicario del Pdl, ricorda che «Angelo Rizzoli ha settant’anni ed è gravemente malato di sclerosi multipla, con emiparesi e angiopatia pregresse, insufficienza renale cronica e diabete. Le regole della carcerazione lo privano perfino del bastone che gli è indispensabile per deambulare. Senza entrare nel merito del processo, ed in ossequio alla presunzione costituzionale di innocenza fino a condanna definitiva, ci aspettiamo che gli sia consentito almeno di potersi curare in casa in attesa di giudizio».
Paradossi della giustizia italiana, tra Alessi (condannato in via definitiva) e Rizzoli (detenuto in attesa di giudizio) potrebbe uscire prima l’assassino di Tommy. Per quest’ultimo c’è infatti la facoltà di richiedere il permesso di lavoro esterno. Potrebbe usufruire dei permessi stabiliti dalla legge e dedicarsi al lavoro durante la giornata, così come annunciato dal suo legale. L’uomo ha frequentato degli appositi corsi da fabbro e da giardiniere. «Ha stuprato una povera ragazza – attacca Paola Pellinghelli, madre di Tommaso Onofri – e ha ucciso un bambino, il mio bambino. La prossima volta, se tornerà libero, cosa farà? Quell’uomo, fuori dal carcere, può solo fare del male».