La vera sfida è il Welfare locale (che la Fornero ha dimenticato)

16 Apr 2013 15:22 - di Silvano Moffa

Uno degli elementi che ha reso monca e, per certi versi, dannosa la riforma Fornero del mercato del lavoro e quella pensionistica del governo tecnico è la mancanza di una parallela riforma del Welfare. Razionalizzare il sistema che sovraintende alla contrattualistica sul lavoro, fuori da una minima idea di come debbano essere ridefinite le politiche sociali nel nostro Paese, è stato un errore di impostazione di cui ora paghiamo le conseguenze. All’impoverimento complessivo della popolazione causata dalla crisi economica e dai provvedimenti draconiani messi in campo da Monti si aggiunge la pesante riduzione dell’area delle tutele e delle garanzie  per lavoratori e non.

Certo, nella riforma Fornero è prevista l’istituzione dell’Aspi. Però l’istituto che innova la cassa integrazione, oltre a presentare risvolti applicativi di dubbia efficacia, rappresenta  una risposta molto parziale al tema che qui stiamo ponendo. La verità è che fatichiamo ad uscire dalla struttura “particolaristica” che è alla base del nostro Welfare. Le riforme che, nel tempo, si sono succedute non hanno mai delineato una configurazione del nostro Stato sociale in grado di costruire un modello più rispondente ai cambiamenti della società, alla trasformazioni che per effetto delle nuove tecnologie e dei moderni sistemi di automazione stanno modificando la fisionomia stessa del lavoro. Né ci siamo sufficientemente confrontati con il problema della decrescita demografica, della forte presenza di immigrati, dell’invecchiamento della popolazione. In più, abbiamo lasciato che alcuni nostri malanni si incancrenissero, intervenendo solo quando il fenomeno acquisiva una natura emergenziale.

Così è venuto meno anche lo spirito programmatorio. Ed a niente sono serviti i richiami  che pure  venivano da punti di osservazione attenti alle dinamiche sociali ed alla loro evoluzione. Fatto sta che oggi raccogliamo i frutti di queste politiche scellerate, perché protese ad assicurare servizi ed aiuti anche a chi non ne aveva bisogno. Sempre pronte a utilizzare intere categorie  per  favorire un sistema di “scambio” : la politica che offre sussidi e sostegno ricevendo consenso elettorale. Immaginare che un simile sistema potesse restare in piedi all’infinito e reggere all’urto di una crisi profonda come l’attuale è stato un atto di pura arroganza e presunzione.

Ora che il circolo vizioso è esploso, vengono a galla i problemi. Con una doppia portata. Lo Stato, indebitato oltre misura e stretto nella morsa delle regole europee, è costretto a ridurre il deficit tagliando persino i servizi essenziali. E, nella corsa al taglio della spesa pubblica, scarica sulle Regioni e gli Enti locali il carico della spesa sociale. Il cane si morde la coda. Andando avanti di questo passo abbiamo assistito, dal 2008 ad oggi, ad un fenomeno di “decentramento della penuria”. Con il 45 % in meno dei risorse rese agli enti territoriali. C’è poco da stare allegri.

Eppure, qualcosa sembra muoversi sui territori e negli ambiti regionali più virtuosi. È qui che si stanno sperimentando inedite forme di un moderno Welfare. A certificarlo è una recente ricerca di cinque università italiane che ha fotografato le novità nel volume “Tra l’incudine e il martello. Regioni e nuovi rischi sociali in tempo di crisi” (Il Mulino). Di fronte ad una congiuntura economica negativa, invasiva e pervasiva come quella attuale, secondo la ricerca, non c’è altra strada per tornare a vedere un po’ di luce che quella di adottare i binomi innovazione/formazione e pubblico/privato.

C’è una Europa che invecchia e un’Italia che invecchia più degli altri Paesi ? Invece di rassegnarsi al  declino è bene prendere il toro per le corna e riscrivere un “patto generazionale”, scandito da un mix di risposte alle nuove domande passando, appunto, dal pubblico al privato. Entrano in capo, così, asili nido condominiali, case di riposo con rimborso pubblico parziale, badanti di condominio , le banche delle ore, i benefici integrativi del welfare aziendale. Nuovi modelli organizzativi irrompono sulla scena ridisegnando completamente nei territori la rete dei servizi. Ad iniziare da quelli ospedalieri , con i piccoli nosocomi che vengono trasformati in centri di degenza ordinaria e a ciclo breve, e strutture maggiori ad alta intensità di cura.

Da conflittuale il rapporto pubblico-privato, nelle nuove forme del Welfare, diventa virtuoso.  Insomma, tra mille difficoltà , nonostante la tenaglia del patto di stabilità e un disagio sociale che marcia a ritmi infernali, gli enti territoriali ci stanno provando. Aprendo la frontiera del “Welfare to work”. Quella che Fornero e company non hanno voluto percorrere. Lo tenga a mente il nuovo Parlamento.

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *