Marini non fa passi indietro e tra gli ex Popolari del Pd c’è chi parla di scissione
Franco Marini non fa passi indietro «e si guarda bene dal farle», fanno sapere i suoi fedelissimi. Domattina alle 13, a cavallo tra il terzo e il quarto scrutinio, lo stesso candidato del Pd al Quirinale dovrebbe tenere una conferenza stampa per ribadire l’intenzione di rimanere in campo. Il politico marsicano, temprato dagli anni di attività sindacale, alla vigilia del voto di questa mattina si era detto preparato a una «battaglia dura» ma con l’augurio di «ritrovare una forte unità del partito». Auspici andati in fumo sotto il fuoco di circa duecento franchi tiratori. Pier Luigi Bersani nel pomeriggio ha preso atto della sconfitta. «Bisogna prendere atto di una fase nuova – ha annunciato il segretario del Pd – Tocca al Partito democratico avanzare una proposta a tutto il Parlamento. Questa proposta sarà decisa nell’assemblea dei grandi elettori». Chance di ripescare l’ex presidente del Senato? «A meno di una modifica di alcune posizioni, come a quelle di Sel, credo che il nome di Marini difficilmente possa essere il nome da cui si riparte», fa sapere Andrea Orlando. Tra gli uomini di Marini c’è chi invece garantisce che la scissione sarebbe un’ipotesi plausibile qualora l’ex leader della Cisl venisse scaricato dopo avere incamerato il no del partito.
Ma non tutti gli ex Ppi sono disposti a fare la guerra nel nome del politico abruzzese. Rosy Bindi al Tg3 ha già archiviato l’ex compagno della Dc. Su Marini c’è stata «scarsa collegialità» e una «forzatura», ora bisogna evitare che accada ad altri quanto è accaduto a lui, dice la presidente del Pd, auspicando una larga convergenza su un altro cattolico, Romano Prodi. Paradossalmente la solidarietà nei confronti di Marini arriva più facilmente dagli ex Dc del fronte opposto. «Dal punto di vista politico e morale – nota il senatore del Pdl Carlo Giovanardi – Franco Marini, avendo ottenuto la maggioranza assoluta dei voti dei grandi elettori ha avuto sul campo una legittimazione che sarebbe gravemente in contraddizione se un altro candidato dalla quarta votazione in poi, fosse questa volta proclamato eletto sulla base di una maggioranza superiore al 50 per cento ma inferiore ai due terzi», «una situazione inedita, che non ha precedenti nella vita politica italiana».