Ornaghi pensa al palco dei marò mentre nei musei regnano caos e “marchette”
Molti continuano a ripetere che con l’arte non si mangia. A parte il fatto che l’Italia potrebbe farlo, in virtù di un patrimonio che altri non possiedono, la verità è un’altra: è che “non si vuole” neanche provare a collegare cultura e intrattenimento, cultura ed economia. Anzi sembra vero il contrario, scoraggiare chi si azzarda a ipotizzare una visita al museo con tutta la famigliola. Il Corriere della Sera se la prendeva giustamente con il Palaolimpico di Torino, dove è in corso una delle mostre più visitate degli ultimi anni, “The Human Body Exhibition”, che offre una affascinante «visione tridimensionale degli apparati del corpo umano, dalla pelle alle ossa, dalla testa alle dita dei piedi, con l’obiettivo di aiutarci ad essere più consapevoli in tema di salute e stile di vita». Una rassegna che ha fatto grandi numeri, venti milioni: due e mezzo a New York, trecentomila ad Amsterdam, duecentosettantamila a Barcellona. Uno pensa a un piatto ghiotto per Torino per fare il pienone, invece, sorpresa, vietato introdurre passeggini e carrozzini, come se uno si divertisse ad andare in mostra da solo, come se uno con i figlioletti stanchi non avesse il diritto di metterli a riposare, godendosi la mostra in santa pace. È chiaro che i più si sono scoraggiati e addio mostra. Occasioni perse. Soprattutto quando alla guida del Ministero dei Beni Culturali c’è chi si occupa d’altro, come il ministro Ornaghi, tutto preso a tuonare contro il palco allestito per la manifestazione di solidarietà per i Marò indetta da Alemanno, a suo dire in contrasto con gli accordi presi per la sicurezza del Colosseo. Dopo oltre un anno, prendiamo atto di un altro fallimento “tecnico”, quello di un ministro che non ha saputo trovare una chiave per valorizzare e promuovere l’esistente, non ha saputo coordinare interventi, risolvere problemi, lasciando tutto com’era e forse anche peggio. Sarebbe lungo e impietoso elencare i siti, le gallerie e i musei europei dove non solo è possibile accedere con i passeggini, ma dove te li danno pure in dotazione, se per caso non li hai: dal Louvre alla Scozia e all’Irlanda, dove tra cattedrali e siti all’aperto i passeggini sono pure muniti di cappottina antipioggia ( i papà e le mamme li conoscono molto bene). Apprendiamo che a Pompei per Pasqua una fiumana di turisti, molti venuti dall’estero, non ha potuto accedervi perché vittima di una manifestazione sindacale indetta proprio quando si attendeva il maggior numero di visite. Proprio non possiamo permettercelo. I sindacati lamentavano che in quell’occasione erano previste solo 22 unità in servizio a fronte di 11mila visitatori. Forse solo la Sibilla cumana, lì vicino, potrà dirci un giorno come si possa risolvere il mistero gaudioso di Pompei, certo è che far funzionare le cose in un’area che porta circa due milioni e mezzo di visitatori l’anno dovrebbe essere una priorità per un ministro. Non c’è più Berlusconi e Pompei continua lo stesso ad essere gestita malamente, ma non è strano? Il ministro Ornanghi è distratto, pensa al Colosseo in funzione anti-manifestazione pro-marò, ma non si accorge che il Maxxi è agonizzante. Un spazio nato con grandi progetti, grandi idee ( Giovanna Melandri prometteva «un milione di visitatori all’anno», visto che «per ora è stato una Ferrari con il freno a mano tirato») che ora è lasciato a secco, con pochissimi quattrini. La Melandri è stata costretta a un’«invereconda marchetta», come scriveva anche il Fatto Quotidiano, ospitando una mostra di dubbio profilo sui pittori dell’Azerbaijan, per ottenere 150.000 euro. Inutile dire quanti visitatori abbia tenuto a debita distanza una mostra del genere. E pensare che il Maxxi secondo gli annunci doveva competere con la Tate e il centro Pompidou e invece si ritrova tra precari ed elemosine statali, senza un timone ministeriale con idee per uscire dalle secche. Un altro segno negativo lasciato dai tecnici in un settore dove “fare cassa” è possibile.