Per i Democratici tanti errori e l’illusione della vittoria. Ma il Pdl ora rischia l’isolamento
È solo una falsa illusione quella di pensare che con la coperta di Prodi possano in un solo colpo rimarginarsi le ferite del Pd. Non tragga in inganno l’applauso liberatorio che si è levato dall’assemblea dei grandi elettori all’annuncio di Bersani. Né il ritorno al sorriso sui volti fino a ieri dimessi, dopo il flop della candidatura di Franco Marini, provochi la suggestione di aver superato la nottata e messo in soffitta lo psicodramma collettivo vissuto dalla sinistra il 18 aprile. Quando si verificano fatti e conflitti di tale portata, prima o poi, se ne pagano le conseguenze. Non è la prima volta che i vincitori di oggi diventano gli sconfitti di domani. C’è da chiedersi, intanto, se il ricompattamento del centrosinistra , da Vendola a Renzi passando per Bersani, in chiave antiberlusconiana possa essere davvero una svolta salvifica per il Pd.
È difficile immaginare che lo possa essere per Bersani. Il segretario del Pd paga la sua tattica ondivaga e scellerata. Aveva provato ad aprire al Movimento di Grillo nella speranza di raccoglierne una “captatio benevolentiae” sulla formazione del governo. Su quel versante ha soltanto raggranellato offese e “stracci in faccia”. Poi, ha cercato la sponda del Pdl sulla elezione del Capo dello Stato. Sembrava – anche perché più di qualcuno, a cominciare da Franceschini, glielo aveva fatto notare – che avesse compreso l’importanza di allargare la base del consenso intorno ad una figura di alto valore istituzionale, di garanzia, di terzietà e dal carattere unificante , quale dovrebbe essere quella del Presidente degli italiani. Invece, il Pd è imploso sul nome di Marini. Ed a nulla valgono le attestazioni di stima nei confronti del vecchio “lupo marsicano” , se alla resa dei conti lo si è bruciato in un modo così indecoroso e umiliante.
Tant’è. La politica mostra, come sempre, il suo volto crudele. Crudeltà che non risparmierà Bersani. Il segretario, da questo balletto indecente, esce con le ossa rotte. Pensate: ha inseguito senza successo Grillo ed ora, paradossalmente, il suo più forte contendente interno, quel Matteo Renzi che proprio per questo lo aveva crocefisso, spingendo il Pd verso Prodi, gli offre la possibilità di ricompattare il fronte del centrosinistra e di aprire lo spiraglio di una possibile intesa con il Movimento 5 Stelle. Insomma, Bersani esce battuto su tutta la linea.
Ma anche Renzi, checché se ne pensi, potrà cantar vittoria fino ad un certo punto. Il sindaco di Firenze ha costruito molte delle sue fortune puntando su un messaggio mediatico fortemente innovatore. Da “rottamatore” di una classe dirigente vecchia e consunta a profeta di una linea liberal- socialdemocratica di difficile costruzione sul piano pratico, ma certamente in grado di attrarre masse di sinistra disorientate e alla ricerca di un nuovi approdi per uscire dalla crisi. La sua intransigenza verso qualsiasi cedimento al grillismo guascone e demolitore aveva fatto sperare che potesse rappresentare una novità nel panorama asfittico della politica italiana, in termini di superamento di vecchi steccati, di odi e contrapposizioni (berlusconismo/antiberlusconismo) che hanno finora offerto il volto di un’Italia spezzata. La distanza da Vendola, cioè dalla parte più ideologicamente dura e radicale della sinistra , ne sembrava confermare il tratto di autonomia. Invece, paradosso dei paradossi, alla prima seria prova di tenuta, ha spinto talmente in alto l’asticella della sfida interna al suo partito, da non trovare altra soluzione che quella di rabberciare una “strana” alleanza con quelli – vendoliani e grillini – che dovrebbero essere i più lontani dalle sue idee.
Sarà lui e non Bersani a “smacchiare il giaguaro”? Se questo accadrà sarà una ben magra consolazione per chi ha scelto tali compagni di cordata per una delle operazioni più spericolate che la cronaca politica di questi anni ci regala. Scegliendoli, peraltro, non ha fatto altro che riproporre gli schemi della vecchia repubblica. O vorrebbe farci credere, il fin troppo vezzeggiato giovanotto di Firenze, che Prodi sia “il nuovo che avanza”? Un po’ di serietà, per favore.
Stando così le cose, vale la penna spendere due parole anche sul Pdl. La scelta di Prodi non rappresenta soltanto uno schiaffo a Berlusconi. Semmai lo schiaffo lo prendono gli italiani che oggi pagano più che mai lo scotto di un cambio dalla lira all’euro che ha distrutto, nel tempo, la nostra forza economica e dissanguato le tasche degli italiani e la capacità di tenuta delle imprese. E’ innegabile, però, che dagli eventi che stanno scandendo l’elezione del nuovo Capo dello Stato, Berlusconi esce isolato. Forse avrebbero dovuto capire a tempo debito, nel Pdl, che in queste partite così complesse e delicate non basta esibire la compattezza dei gruppi per portare a casa la vittoria. Occorre mostrare abilità di interlocuzione. Avere più fronti di dialogo cui ancorare le scelte. Non dare l’impressione, ammesso che di sola impressione si tratti, di mirare molto più a sistemare vecchie vicende giudiziarie che a tutelare gli italiani dalla azione perniciosa dei nuovi lanzichenecchi della politica. Riflettiamoci.