Se il “fanciullino” si perde nel Bosco di Tolkien
Pascoli e Tolkien, due autori distanti per luoghi, tempi e cultura, uniti da un progetto comune: riformulare la scrittura epica in chiave moderna a partire dalla lingua antica. È questa l’ipotesi originale espressa da Simonetta Bartolini nel suo ultimo saggio, Il “fanciullino” nel bosco di Tolkien- Pascoli, la fiaba, l’epica e la lingua (Polistampa, pp. 80). La studiosa, docente di Letteratura italiana e Letterature comparate all’Università Luspio di Roma, offre una lettura inedita della poetica pascoliana attraverso il raffronto con quella del romanziere inglese. Le loro vite rivelano curiose analogie e comuni destini. Entrambi professori universitari e studiosi di lingue, specialmente antiche, condivisero alcune fondamentali letture, soprattutto di linguistica anglosassone. Furono tutti e due segnati da lutti in famiglia, che li precipitano in condizioni economiche drammatiche, e condivisero incomprensioni e fraintendimenti da parte della critica e del pubblico pur ottenendo grande successo. Il testo propone una lettura comparata fra il Fanciullino pascoliano e il saggio sulle fiabe di Tolkien, pur tenendo presente che tra le due opere corrono quasi quarant’anni.
Il risultato è una nuova e inedita interpretazione della poesia pascoliana condotta sul filo della funzione e dell’essenza della fiaba come Tolkien l’ha teorizzata: non più racconto relegato nella “stanza dei bambini”, ma struttura moderna, vera epica della contemporaneità da consegnare a un pubblico universale a partire da una lingua “ricreata”. Una lingua antica (eppure attualissima) ripescata dal passato (il latino e gli antichi idiomi rurali per Pascoli, il sistema runico per Tolkien) per allestire una sintassi e un lessico contemporanei, affinché anche il balbettio della modernità possa trasformarsi in grandezza alla maniera antica, senza abdicare a se stessa.