A Roma con Alemanno come con Leonida alle Termopili
In Italia manca la destra, sono d’accordo. La destra come codice di valori però, non come etichetta. Su questo punto credo di aver intuito la lezione di Wojtila quando disse che non si sentiva la mancanza di un partito che si definisse cattolico, ma piuttosto di politici che incarnassero nella loro vita e nel loro lavoro i valori cattolici. In Italia, più della sua storia, sono i valori della destra a non essere più visibili: senso del dovere, senso dello stato, spirito di servizio, lealtà, sincerità, onestà, primato della politica sull’economia (e quindi patriottismo anche economico) e etica civile. Chi non si è fatto stordire dal volume della propaganda techno-comunista sa che è così. E mancando queste poche ma essenziali cose, l’Italia è nelle condizioni in cui si trova. La risposta non può essere però ritornare ad affermare storicamente e verbalmente questi valori quanto, bensì, incarnarli. La destra è l’anima di una nazione e ogni nazione ha la propria. Non è la cultura di una parte ed è per questo che, da sempre, viene da destra la critica all’inadeguatezza delle categorie destra/sinistra. Quindi rivolgersi solo a quegli italiani che provengono da una storia particolare sarebbe tradire una delle missioni della destra, che è quella di risvegliare quei valori nell’interezza dei propri concittadini. Nel ’93 gli italiani premiarono il Msi perché, alla luce degli scandali di Tangentopoli, spiccava per la sua unicità di partito dalle mani pulite. Oggi, per farsi riconoscere come “differenti”, temo non basti fare un altro partito. Bisogna trovare modi di dimostrarlo oltre le parole. Ed è anche per questo che, per l’ennesima volta, la battaglia per Roma è la battaglia storica e il suo esito sarà fondamentale. A Roma deve vincere Alemanno e se non vince non è perché Marino è più credibile, ma perché il Pd è un partito enormemente più strutturato e radicato di quanto siano i partiti del centrodestra. Il nemici di Alemanno sono la sfiducia e l’ignavia. E la stupidità di chi pensa di essere più furbo se lascia decidere gli altri del proprio proprio destino. E di gente che dice: “mica mi fregano! Io non ci vado a votare!” senza rendersi conto che è proprio questo il modo di farsi fregare ce n’è ancora moltissima. Quindi, comunque vada non vince Marino, ma se vince Marino perde la politica. Anche se l’esaurimento del bluff di Grillo è il segnale che, dopo che gli italiani hanno capito che anche la sua era una falsa alternativa ora pensano che davvero non valga più la pena nemmeno di uscire di casa. Ma la politica è quello che succede dopo e che succede per ben cinque anni. E nel caso nostro forse determina anche i decenni successivi. Come al solito siamo alle Termopili. E la cosa più assurda è che a comandare le forze del Caos, dall’altra parte, non c’è il crudele Serse, ma l’improbabile Mr Bean.