Alfredo Mantica, “collega” in commissione Esteri di Andreotti: «Lui, il migliore tra i peggiori…»
«Per la prima volta in vita mia oggi ho difeso a spada tratta Giulio Andreotti in un luogo pubblico, di fronte a tante persone che stavano commentando in maniera corriva e fuori luogo la sua morte, di cui sono molto dispiaciuto». Parla Alfredo Mantica, già sottosegretario agli Esteri, “collega” in più di un’occasione del “divo Giulio” e dunque una delle persone che più può aiutarci a tracciare una giudizio politico e umano dello statista scomparso, tra ricordi pubblici e privati.
Giulio Andreotti è stato nella commissione Esteri quando lei era sottosegretario alla Farnesina nel 2001 e siete stati “colleghi” nella stessa commissione dal 2006 al 2008. Qual è il suo giudizio?
Faccio mio il giudizio che ne diede Montanelli, che trovo geniale e in cui mi ritrovo pienamente: «Era il migliore dei peggiori». Mi spiego. Per noi che venivamo dal Movimento sociale italiano, la Democrazia Cristiana era vista come un “nemico”, politicamente parlando: ma tra i “peggiori” nemici lui era certamente il migliore, il più lucido, il più equilibrato nei giudizi, il più “democristiano” in un certo senso, cioè un uomo portato al compromesso, alla composizione più che alla divisione.
In politica estera quale fu la sua più importante intuizione?
Il dialogo con il Medio Oriente. È stata una sua scelta perseguita tenacemente negli anni. La si condivida o meno, ha segnato profondamente la politica estera italiana e il giudizio che nel mondo avevano di lui. Ciò che mi colpiva è che in qualunque angolo remoto del mondo dove per impegni politici mi sono trovato, non c’era nessuno che non mi dicesse, “mi saluti Andreotti”: per molti era politicamente il simbolo dell’Italia, sicuramente il più conosciuto e anche il più discusso, stimato fin da giovane a livello internazionale come brillante conferenziere.
Il suo più grande pregio?
L’ho conosciuto da vicino nel suo ultimo periodo, già ottantenne, e in lui ho trovato una lucidità e una capacità di sintesi introvabili.
Andreotti tifoso della Roma e lei tifoso juventino: avete mai parlato di calcio?
Sì. Anche in quel campo la sua ironia ti spiazzava. Ricordo perfettamente una sua espressione fulminante quando la Juventus andò in serie B ed io, pur molto deluso, fui “rinfrancato” da quello che lui disse: «Per me, romanista “sfegatato” -commentò – vedere la Juve in B è come vedere il Papa in canottiera all’Angelus domenicale…». Capito? Non infierì con un giudizio sportivo, sarebbe stato banale. Ma seppe trovare un’immagine umoristica così spassosa che non riuscivi a prendertela a male…
Com’era l’Andreotti privato?
Un uomo d’altri tempi, con una grande correttezza nei rapporti personali. Rispondeva sempre a lettere, telefonate, favori, si ricordava tutto. Una volta gli chiesi la cortesia di scrivere a un funzionario dell’Onu, che lui ben conosceva. Mi stupì perché gli scrisse a brevissimo giro di posta, senza che dovessi sollecitarlo una volta di più. Ritengo che questa sia una caratteristica che alla lunga rende grande un personaggio. Poi, certo, in politica, da avversario, usava tutti i “colpi” che erano leciti…