Cucù, l’«Adesso!» di Renzi non c’è più
Matteo Renzi sta rischiando di vedere derubricata la propria battaglia per il rinnovamento del Pd a una ben studiata, organizzata, ma tutto sommato banale ricerca di spazi e di visibilità personale. Lo inducono a pensare le recenti sortite del sindaco, apparse più finalizzate a distinguersi a ogni costo dalle posizioni di Letta e del vertice dei democrat che ad intestarsi l’onere di un percorso da proporre al Pd per provare a farlo uscire dall’angolo in cui lo ha ricacciato la cieca ostinazione del Bersani postelezioni. È ancora presto per dirlo, ma la parabola del rottamatore sembra declinare verso quella del punzecchiatore. Non ha più le sembianze dell’alfiere di una battaglia condotta a viso aperto contro la vecchia nomenclatura bensì quelle di un guerrigliero tartufato nonché condizionato dalle convenienze del momento.
Si può leggere così la sua critica alla sospensione dell’Imu sulla prima casa decisa dal governo su input del PdL e sempre al registro dell’antiberlusconismo di maniera va iscritta la piccata risposta a chi lo ha stupidamente accusato di aver scelto la Mondadori di Marina Berlusconi come editore di un suo volume (“Io ci ho fatto un libro, voi un governo”).
Che Renzi dovesse recuperare simpatie interne era intuibile, che dovesse farlo a colpi di battute e di sortite antiCavaliere è comprensibile. Che però lo facesse anche a costo di alienare quel tesoretto di consensi e di simpatie annidate in partibus infidelium, appare francamente una forma di penitenza politica eccessiva. Renzi deve il suo smalto ed in definitiva la originale rappresentazione del suo stesso personaggio alla goliardica scioltezza con cui ha saputo rompere vecchi tabù a sinistra, primo fra tutti la coazione all’odio verso il Grande Nemico. Che egli ora, seppur in nome di confessabili convenienze, abbia scelto di acconciarsi a fare la propria parte in tal senso, ci sta pure. Ma è anche spia di una fragilità progettuale e, forse, di una sottovalutata condizione di persistente inagibilità politica interna. Lo testimoniano indirettamente i ripetuti “vedremo” opposti ai pressanti inviti ad assumere ruoli ed atteggiamenti più incisivi nella travagliata vicenda del Pd e rispetto all’esecutivo guidato dal giovane Letta. E per uno che aveva scelto l’imperativo “Adesso!” come slogan della madre di tutte le battaglie contro i vecchi fusti del Pd, rinviare a domani quel che si può fare oggi non è davvero il massimo della coerenza.