Da candidati “cinque stelle” per il Colle a censori di Grillo: dopo la Gabanelli arriva l’anatema di Rodotà

30 Mag 2013 10:25 - di Antonella Ambrosioni

Un destino comune unisce i super-candidati al Colle a lungo sponsorizzati da Beppe Grillo. La fuga dai cinquestelle a gambe levate. Sembra il tocco della Medusa. In primis è toccato a Milena Gabanelli: le sua inchieste erano belle, sì, ma fino a prova contraria, fino a quando, cioè, le sue scomode inchieste hanno toccato anche qualche verità scomoda nel M5S. Allora i grillini sono passati dal Colle al Tribunale e le “nozze” con la candidata numero uno al Quirinale si frantumarono  in maniera miserrima con accuse e insulti grossolani.

Ora, fuori due. Dopo la Gabanelli, Grillo perde per strada anche il suo secondo presidente della Repubblica, quello Stefano Rodotà tanto coccolato e osannato dal movimento come l’uomo giusto per l’Italia. Ma l’amore, anche in questo caso, non è reciproco. Il politico più amato dai grillini oggi analizza senza sconti il fallimento elettorale dei cinqustelle, di cui, dice, non è «affatto sorpreso». L’analisi è severa:«Beppe sbaglia. La rete da sola, non basta, non è mai bastata, bisogna andare oltre». In una lunga intervista al Corriere della Sera, Rodotà esplicita tutta una serie di perplessità da sempre nutrite sulla natura del M5S, che ora vengono al pettine. «Avevo detto che la parlamentarizzazione dei 5 Stelle non sarebbe stata indolore. E così è stato». E spiega: «Faccio una battuta: quando si lavora in Parlamento, non è che di fronte a un emendamento in commissione vado a consultare la rete. Serve un cambiamento di passo». Un cambio di passo non c’è stato. «Non hanno capito che la rete – spiega- non funziona nello stesso modo in una realtà locale o su scala nazionale. Puoi lanciare un attacco frontale, ma funziona solo se parli al Paese». Snza contare quanto nuoce lo spirito di contraddizione interno. «Sono stato molto colpito dalle dichiarazioni avventate del candidato 5 Stelle di Roma: si è lamentato perché i media non gli avevano dedicato abbastanza attenzione. Ma come? Non era stata teorizzata l’insignificanza dei vecchi media?». E poi Grillo non si può proprio sentire quando colpevolizza gli elettori del suo flop. Della serie italiani immaturi e colpevoli di non avere capito nulla: «L’ho sentita troppe volte questa frase», ammonisce il professore. «Si dice quando si vuole sfuggire a un’analisi. Ma erano gli stessi elettori che li hanno votati alle Politiche. È una reazione emotiva, una spiegazione che non spiega nulla». A forza di non spiegare nulla non si va molto lontano. Grillo e Casaleggio sono “padri un po’ troppo ingombranti”, ammette : «Non bastano più le loro indicazioni. Un movimento nato dalla rete, che ha svegliato una cultura politica pigra, una volta entrato in Parlamento deve cambiare tutto. E non può dire ai parlamentari: non dovete elaborare strategie». Diktat su tutto: vietata la tv, vietato lavorare a strategie, in pratica, vietato fare politica. Ma la tanto conclamata “verginità politica”, agitata come vessillo di qualità è una balla per l’uomo che il movimento voleva sul Colle: «No mai creduto al valore dell’inesperienza, che rivendicano come verginità dalle compromissioni. Io ci misi molti mesi a imparare. Il Parlamento richiede competenza. So che stanno cercando di rimediare con bravi consulenti». Anche per Rodotà, persona seria, evidentemente vale il principio: se li conosci li eviti…

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