Dal gay diciassettenne “made in Repubblica” a Sgarbi. Che confusione…
Ho letto, come tutti, le parole del ragazzo omosessuale che chiede «solo il diritto di esistere» in una lettera a Repubblica. Ho letto anche l’articolo di Vittorio Sgarbi su ilgiornale.it in cui, fra le altre cose, dice che tutti – omo o etero – dovremmo liberarci del matrimonio perché è un rito arcaico e – udite udite! – che anche Dominique Venner, lo storico francese che si è suicidato a Notre Dame, era omosessuale… A questo punto sono entrato in confusione. Innanzitutto perché non risulta a me, ma ch’io sappia a nessun altro, che Venner fosse omosessuale. E in seconda analisi perché non capisco cosa c’entri. Mi conferma però il fatto che ormai il solo utilizzare termini che iniziano per “omo” sia diventato un elemento stabile del delirio verbale corrente. Sembra che sia impossibile vincere un premio cinematografico se non si racconta un amore gay e, a giudicare dalle cronache mondane internazionali, una buona parte dei personaggi che fanno audience hanno l’obbligo o la convenienza di dichiararsi omosessuali (anche solo “occasionali”). Molti personaggi etero delle fiction alla moda a un certo punto si scoprono omo e sono finalmente felici, ma quasi tutti lo sono a fasi alterne. D’altronde chi non lo è – o addirittura viene accusato di essere omofobo – rischia di beccarsi l’arruolamento post mortem grazie a Sgarbi. Un bel casino, non c’è che dire. La lettera del nuovo Oscar Wilde di Repubblica fa certamente riflettere. La prima riflessione è che se uno è così bravo da farsi pubblicare una lettera in prima pagina dal giornale più influente d’Italia non deve certo preoccuparsi del proprio “diritto di esistere”. Anche se non interviene la Boldrini. La lettera, infatti, è scritto molto bene. Forse – e in questo bisogna comprendere Sgarbi che la definisce un falso d’autore, un’invenzione e una bufala – anche troppo. Se un minorenne scrive già così bene certo non avrà problemi nella vita o nel lavoro. Che poi, al giorno d’oggi, chi può sinceramente dire che esistano discriminazioni diffuse nei confronti di chi è gay? Tutti i gay che conosco – e anche se non partecipo a fiction di successo ne conosco un numero notevole – sono stimati e riconosciuti nel lavoro e nella professione. Tra l’altro la categoria dei gay ha dei contorni piuttosto confusi e la maggior parte non ce l’ha scritto in fronte o va a farsene vanto in giro. Come, per la regola, non dovrebbe fare nessuna persona ben educata, indipendentemente dagli “orientamenti”. Sono contrario per principio a qualunque modifica, aggravante o attenuante, che mini il principio dell’uguaglianza dinanzi alla legge – quindi non è che un crimine sia più criminale a secondo di chi lo commette o lo subisce – e ritengo che la legge sull’omofobia serve solo a inserire nel quadro normativo il riconoscimento di una categoria, che altrimenti non esiste, e definirla come categoria protetta. Inoltre, trattandosi di una categoria “autocertificata” e non riscontrabile in termini oggettivi, legislativamente si tratta di un’aberrazione. E come ci mettiamo coi bisessuali? E che c’entra l’omofobia col matrimonio tra gay? La strumentalità è palese e la confusione è voluta. Secondo la politologia d’accatto la sinistra parlamentare è per i diritti (di qualunque genere e per chiunque), mentre la destra è contro i diritti (di chiunque eccetto che di se stessi perché è egoista e meschina). In realtà la “differenza” è che gli omosessuali di destra, probabilmente, non sono esibizionisti come i loro colleghi di sinistra e tengono distinto il privato dal politico. O, più semplicemente, rifuggono dallo sfruttamento della propria intimità a fini di partito. Comunque: un disoccupato è un disoccupato, etero o gay che sia. Forse dovremmo parlare di cose più impellenti. E che ci riguardano tutti.