Il partito dei giudici contro il governo di tregua
Tutti i partiti hanno fatto passi indietro per dare il proprio contributo a un governo che dovrebbe assicurare una fase di non conflittualità e di cooperazione. Non è un caso che questo percorso abbia avuto la sua prima battuta d’arresto sull’elezione del presidente della commissione Giustizia del Senato che, su proposta del Pdl e con l’accordo del Pd, doveva essere l’ex Guardasigilli Nitto Palma. Sulla sua candidatura segretamente alcuni esponenti del Pd hanno fatto mancare il loro voto. Il Pd non è un soggetto politico omogeneo e ne è stata dimostrazione plastica l’impossibilità di Bersani di assicurare i voti per l’elezione del presidente della Repubblica e la sua incapacità di formare un governo. Da anni, all’interno del partito pigliatutto del centrosinistra – accanto ad altre componenti come quella democristiana che oggi guida il governo – si è insediata e consolidata quella che va sotto il nome di “partito dei giudici”. Ai capi di questo partito, dello sforzo comune per traghettare il Paese oltre la crisi non gliene frega nulla. Della tregua politica firmata con il centrodestra – che per loro non è un avversario, bensì un nemico da estinguere – meno che mai. In quest’ottica la conferma in Appello della condanna per Berlusconi al processo Mediaset non è una coincidenza, ma è perfettamente conseguente e sintonica con l’ostruzionismo tentato sull’elezione di un esponente del Pdl alla presidenza della commissione Giustizia. I tupamaros togati non hanno deposto le armi e, come qualunque partito combattente, non accettano tregue che possano portare a una stabilizzazione. La loro strategia ha bisogno della tensione e della guerra senza limiti. La loro missione è alimentare il caos per poter giustificare il proprio ruolo e rivendicare, appunto, il governo del caos. Sacrificando il bene del popolo, sacrificando il bene del Paese e sacrificando – come vittima collaterale – anche il Pd.