L’Italia dopo Grillo: iniziamo a pensarci
Trovo orribile citarsi a vicenda all’interno della stessa testata, ma devo ricollegarmi necessariamente al ragionamento già lanciato da Gennaro Malgieri sulla necessità che la politica – quella che c’è sempre stata e ci sarà anche dopo la fine dell’antipolitica – si interroghi per tempo su come recuperare e rimettere a posto le rovine che lascerà il passaggio dello Tsunami Grillo. Il responsabile dello tsunami non è mai lo tsunami stesso, innanzitutto bisogna comprendere le ragioni che l’hanno provocato. Generalmente inizia con uno smottamento delle falde sotto le profondità del mare. Nessuno l’ha visto, ma c’è stato un terremoto in profondità ed è quel terremoto che dà lo schiaffo all’acqua e la fa montare fino a creare l’onda distruttrice. Ma l’onda, per sua natura, rifluisce, non lasciandosi dietro solo rovine ma portandosi anche via detriti e vittime. Così sta per succedere con il progressivo ma inesauribile sgonfiarsi di Grillo che è diventato un disco rotto che non fa che ripetersi e ha già stufato. Nascerà sicuramente dai suoi detriti un nuovo partitello di sinistra più o meno estrema. D’altronde sul Secolo l’avevamo detto dall’inizio e d’altronde, pochi lo ricordano, la strategia originaria di Casaleggio-Grillo era addirittura di infiltrarsi nel Pd e spaccarlo candidandosi alle primarie. La politica dovrebbe avere la virtù di veder arrivare in anticipo gli eventi e quindi guidarli se non evitarli. Questa politica, da tempo, gli eventi cerca solo di cavalcarli e assecondarli, un atteggiamento superficiale che rasenta l’irresponsabilità, come ormai è evidente a tutti. Già all’indomani delle elezioni politiche e con il chiaro dato sui flussi elettorali che indicava un enorme smottamento dell’elettorato di destra verso il voto nichilista grillino, il Secolo invitò a porsi delle domande sul perché di questa deriva. E le domande cercò anzi di porle proprio a chi aveva fatto questa scelta. “Sei di destra? Hai votato Grillo? Dicci perché?”, lo chiedemmo ai nostri lettori. Confesso che le risposte – numerose e dettagliatissime – ci fecero avere dei ripensamenti sull’opportunità di darne evidenza pubblica. L’effetto sarebbe stato devastante. Ma purtroppo le motivazioni erano anche condivisibili. Ora che moltissimi di quelli che ci avevano risposto hanno altrettanto schiettamente dichiarato che non lo rifarebbero, i tempi potrebbero essere maturi per riconsiderare costruttivamente le loro argomentazioni, dargli ordine e – soprattutto – cercare orecchie sensibili disposte ad ascoltarle. L’Italia, per chi non l’ha capito, sta subendo una trasformazione. Forse è solo la risacca dello tsunami – così come negli anni Ottanta ci fu il “riflusso” dopo gli anni dell’impegno – ma la risacca non è una fine. Dopo, c’è un nuovo inizio. Ma per prendervi parte è necessario, innanzitutto, non finire anche noi trascinati via con i detriti.