Scusate il disturbo, ma chi governa non va in piazza…

10 Mag 2013 18:33 - di Mario Landolfi

Ma che storia è questa di un partito di governo che scende in piazza contro i magistrati? Non ho alcun motivo per simpatizzare con le toghe: da circa sei anni navigo in un assurdo processo chiamato a rispondere di accuse infamanti il cui (impalpabile) contenuto ho persino postato sul mio profilo Facebook in omaggio ad un elementare principio di trasparenza cui è tenuto chiunque ricopra un ruolo pubblico. Lo stesso ho fatto con una serie di intercettazioni telefoniche dal contenuto inequivocabilmente politico per le quali ho chiesto io l’acquisizione.
Non parlo, quindi, dall’alto di una esistenza mai sfiorata dalle saette di una magistratura vendicatrice dei torti e redentrice dell’umanità. Tutt’altro. Sono un garantista. Penso sia meglio vedere un colpevole fuori che un innocente in galera, mi disgusta l’istituto della carcerazione preventiva quale moderno surrogato della tortura d’altri tempi e – gettando l’occhio a detenuti ed agenti – considero totalmente tradito l’articolo 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena. E ancora: ritengo che fino a quando esisteranno magistrati la cui attività giudiziaria non è altro che la continuazione della politica con altri (impropri) mezzi e che sull’onda della notorietà acquisita in conto terzi fondano partiti e lucrano scranni di deputato o poltrone di ministro, non ci sarà mai un eletto che reputerà giusto ed eticamente appropriato dimettersi in seguito ad un avviso di garanzia.
Tutto ciò premesso, confesso tuttavia che mi sfugge non poco il senso profondo della manifestazione indetta dal Popolo della Libertà a Brescia. Chi abita a Palazzo Chigi non scende in piazza. Questa è roba per i Diliberto, i Pecoraro Scanio, i Turigliatto, gente che nei giorni pari sosteneva Prodi, in quelli dispari lo contestava e la domenica si riposava. Ma il PdL che c’entra? E poi scendere in piazza contro chi? L’ordine giudiziario? E chi dovrebbe riformarlo? Governo e Parlamento, ovviamente. Bene, anzi male, perché è come se parlamentari, ministri e sottosegretari berlusconiani manifestassero innanzitutto contro se stessi. Praticamente, un harakiri. Lo capirei, invece, se Brescia fosse una tappa di avvicinamento alle urne per ottenere dai cittadini una maggioranza priva di sbavature o tentennamenti e compatta come un sol uomo sulla necessità di riequilibrare in senso più “tocquevilliano” e liberale i poteri dello Stato. Se così fosse, Berlusconi ed il PdL non scenderebbero in piazza per contestare una sentenza della magistratura ma per arare il terreno in vista di una prossima sfida elettorale che veda al centro, tra gli altri, i temi di una giustizia giusta per tutti. Nel trentennale del calvario di Enzo Tortora, simbolo di un accanimento giudiziario con ben pochi precedenti, non sarebbe un fuor d’opera. In questo caso, però, è necessaria un’avvertenza: prima di lasciare il governo, qualcuno si ricordi di spegnere il Porcellum.

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