Vinicio Capossela dal Concertone al Vittoriale: un paradosso che sarebbe piaciuto a d’Annunzio
«Il centocinquantesimo di Gabriele d’Annunzio non avrebbe potuto essere celebrato meglio nell’anfiteatro che lui decise di chiamare Parlaggio. E faremo qualche sorpresa anche nel Laghetto delle Danze, in quelle Vallette appena e finalmente riaperte al pubblico». Lo aveva annunciato il presidente del Vittoriale Giordano Bruno Guerri, presentando il cartellone del Festival del Vittoriale tener-a-mente. Detto fatto. L’inserimento in cartellone il 6 agosto di Vinicio Capossela, costituisce una sorpresa a metà per gli appassionati della rassegna gardesana. Il cantautore di origine irpina per certi versi non potrebbe essere più lontano dall’immagine dannunziana. Lontano sicuramente per posizione politica. L’ultima esibizione, al Concertone del Primo maggio di piazza San Giovanni, rende bene l’idea del personaggio. Alla piazza bagnata e festante ha dedicato una ballata dai chiari riferimenti alla situazione politica italiana, il Veglione della grande coalizione («Quant’é bello, quant’é bé governicchiare insieme a te»), concludendo con «L’umile inno di un grande cantore dello sfruttamento, Matteo Salvatore», intitolato l’Inno della Repubblica. Lo stesso Capossela era stato uno dei primi artisti a esprimere la propria solidarietà agli attori che avevano occupato il Teatro Valle per manifestare contro la privatizzazione della cultura. A loro aveva dedicato un concerto gratuito. Lontano, ma per certi versi vicinissimo alla d’annunziana: Capossela per raffinatezza ed eccentricità è infatti uno dei cantautori che più si distinguono nel panorama musicale italiano. Non a caso quello di Capossela è un ritorno. Sul palcoscenico gardesano il cantautore porterà le note di quella Grecia che già aveva ispirato il progetto precedente (Marinai, profeti e balene, presentato al pubblico del Vittoriale nel 2011) e diventata poi protagonista dell’omonimo disco, Rebetiko Gymastas.
«Il rebetiko è musica nata da una catastrofe, da una grande crisi e da una colossale migrazione – spiega Capossela – Da allora ha sempre avuto un contenuto eversivo, ha portato in sé il cromosoma della ribellione, della rivolta individuale. Rebeta viene dal turco rebet, ribelle, colui che meno si tira indietro quando le città vanno a fuoco. Il rebeta è uno che non si sottomette al meccanismo del consumo e che semmai cerca la sua bellezza altrove. Scrive John Berger che la musica iniziò dal grido che lamenta una perdita. Il rebetiko è una musica che lamenta quello che tutti noi abbiamo perduto, una musica che non dimentica le sue origini. È musica che viene dal basso, che si condivide a tavola, come un’eucarestia». Così Capossela piomberà dal Concertone al Vittoriale: un paradosso che sarebbe piaciuto a d’Annunzio.