Andrea Margelletti: «Il sacrificio dei nostri soldati serve alla sicurezza di tutti»
«Il tributo di sangue dei nostri soldati è dolorosissimo, ma non è inutile. Il loro sacrifcio serve alla causa della sicurezza di tutti, anche della nostra». Abbiamo raccolto il parere di Andrea Margelletti, presidente Centro Studi Internazionali, sul significato della presenza italiana in Afghanistan. È un significato da ricordare proprio in questo tragico giorno. La notizia dell’attentato in cui ha perso la vita il capitano dei bersaglieri Giuseppe La Rosa ha infatti ridato fiato alle solite voci che chiedeono il ritiro immediato dei nostri soldati.
Perché questo attacco ai nostri soldati?
Perché gli insorti afghani vogliono colpire le forze internazionali nel loro sforzo di favorire l’affermazione del governo legittimo.
Il loro obiettivo è dunque prima politico che militare.
Certamente. Vogliono spingere l’opinione pubblica dei Paesi che partecipano alla missione Isaf a chiedere il ritiro delle truppe. Gli insorti non tollerano che si affermi una legittima autorità nazionale, perché si arriverebbe alla fine del dominio tribale e alla divisione del Paese.
Ma chi sono esattamente gli insorti?
Sono una realtà composita al cui interno non agiscono soltanto i Talebani, ma anche trafficanti di oppio e di armi. Il ristabilimento dell’ordine darebbe molto fastidio ai loro commerci. Di qui il loro interesse a indebolire e delegittimare le istituzioni.
Qual è a suo giudizio il bilancio di questi dodici anni di missione in Afghanistan?
Complessivamente positivo. Primo perché Al Qaeda non opera di fatto più in Afghanistan (non a caso ha spostato la sua azione in altre aree) e perché il governo è considerato credibile (anche se non del tutto rappresentativo) dalla maggioranza della popolazione afghana. Non dimentichiamo che fino a pochi anni fa Karzai era chiamato il “sindaco” di Kabul. Oggi non è più così. Detto ciò, va onestamente rilevato che in Afghanistan sono stati commessi anche gravi errori da parte degli occidentali.
Per esempio?
Per esempio il fatto chegli americani hanno adottato in ritardo il principio del comprehensive approach, cioè la strategia volta (come peraltro è da sempre nell’auspicio degli italiani) a porre al centro le forze locali nella dinamica politico militare.
Quale prospettiva vede in futuro per l’Afghanistan?
L’Afghanistan deve essere innanzi tutto considerato una questione regionale che deve vedere impegnati i principali attori dell’area. E cioè il Pakistan , l’Iran e l’India.
Quale significato ha, per l’Italia, la partecipazione alla missione in Afghanistan?
Premesso che la missione Isaf si concluderà alla fine del 2014 e che dopo tale periodo le forze internazionali si limiteranno a fornire addestramento e supporto a quelle afghane, premesso questo, è cruciale per un Paese come l’Italia, come per qualsiasi Paese europeo, intervenire direttamente dove si produce tensione internazionale. È un salto di mentalità fondamentale nel nostro mondo privo ormai di frontiere e barriere. Un mondo meno oppresso è un mondo più sicuro per tutti.