“Ferita afghana”: in un libro le storie dei militari italiani in missione tra rimpianti e orgoglio patriottico
“Sono diventata la meteorologa del reggimento. Ogni volta che cambia il tempo sento i dolori”. Scherza, Pamela Rendina, primo caporalmaggiore del secondo reggimento alpini di Cuneo. Eppure in Afghanistan una bomba talebana le ha frantumato le ossa. C’è anche il suo racconto, quello della prima donna soldato italiana ferita in azione, tra le storie che il giornalista Maurizio Piccirilli ha raccolto in “Ferita afghana“, il volume edito da Mursia che sarà presentato oggi a Roma, al Museo storico dei Granatieri in piazza S.Croce in Gerusalemme, dal capo di Sato Maggiore dell’Esercito, Claudio Graziano, e dalla Medaglia d’oro Gianfranco Paglia.
“Quel giorno io sono nata per la seconda volta. Ma non posso essere felice. I miei colleghi sono morti”, dice Pamela, originaria di Scampia e saltata su un mezzo blindato colpito da un ordigno. Era il 24 settembre 2006. Nel libro Piccirilli – a lungo firma di punta del quotidiano Il Tempo, un vero “corrispondente con gli anfibi”, come lo definisce il generale Graziano – traccia un bilancio in vista della conclusione della missione, prevista a fine 2014, e lo fa su un doppio binario. Da una parte l’analisi dei costi e risultati di un decennio di presenza italiana in Afghanistan: 4 miliardi spesi, il 13 per cento in opere civili (nella sola zona di Herat 81 scuole, 49 strutture sanitarie, un ospedale pediatrico, un centro giovanile, un carcere femminile, 20 edifici pubblici ristrutturati, 715 pozzi, 25 strade, 20 canali, ponti); dall’altra i costi umani: 52 morti e un centinaio di feriti. Piccirilli ha raccolto la testimonianza di dieci di loro.
Uomini e donne dell’Esercito italiano che raccontano i momenti drammatici del loro ferimento, la nostalgia per la famiglia, l’orgoglio di servire la patria, il dolore per chi è rientrato in Italia avvolto nel Tricolore e l’affetto nei confronti di quei commilitoni con cui hanno condiviso un’esperienza unica e straordinaria in una terra lontana, ostile, ma anche ricca di umanità e tradizioni millenarie. Nelle loro parole ci sono le emozioni, la paura, il coraggio che hanno provato tra la sabbia e le montagne afghane, ma anche il desiderio di non darsi per vinti e di continuare a servire il Paese.