Gli atei vogliono avere una loro chiesa: ma può esistere una “religione” che ha come obiettivo la distruzione del sacro?
Anche gli atei vogliono essere una chiesa. La proposizione contiene un ossimoro, una contraddizione, ma è proprio così: l’Uaar, unione degli atei e agnostici, intende aprire una trattativa per regolare i rapporti tra la “confessione atea” e lo Stato italiano al pari delle altre religioni. Il Consiglio di Stato ha detto no, la Cassazione ha rinviato tutto al Tar. Ne dà notizia oggi il Corriere spiegando che in questo intrigo di carte bollate gli atei non intendono più limitarsi ad un’azione corrosiva delle religioni sul piano culturale ma pretendono un’intesa che ne metta nero su bianco diritti e doveri, tra i quali il diritto di celebrare matrimoni e fare assistenza negli ospedali. L’articolo 8 della Costituzione italiana parla però di “confessioni religiose”: com’è possibile inserire gli atei in questa categoria visto che fanno della scomparsa di ogni religione l’obiettivo della loro conventicola? E dopo che dovremmo aspettarci, una trattativa tra lo Stato e la confessione dei “vegani” o anche tra il governo e i seguaci del tantrismo? Il dibattito, più che sull’ateismo, si concentra a questo punto sul termine stesso, religione, che comporta la venerazione di un’entità che si ritiene sacra. Ciò che è sacro, secondo Julien Ries, rimanda a ciò che è “altro” dall’ordinario e dal profano. Tutto ciò che si esaurisce nell’orizzonte limitato dell’uomo non ha attinenza dunque né con la religione né con il sacro.
L’Uaar rivendica i suoi quattromila iscritti, un po’ pochi rispetto ai dieci milioni di non credenti stimati nel nostro Paese. Hanno anche la dea Ragione da venerare, una loro festa per rendere omaggio a Giordano Bruno e possono ricevere il 5 per mille perché il ministero del Lavoro li ha riconosciuti come associazione di promozione sociale. Lo scopo degli atei è quello di importare anche in Italia il modello olandese e belga, paesi in cui questo tipo di organizzazioni sono parificate alle altre chiese e associazioni religiose. Un passo azzardato perché se, come molti storici delle religioni hanno fatto notare a partire da Mircea Eliade, il sacro è innanzitutto un’esperienza, una struttura della coscienza, cercare di imbrigliarne le potenzialità con un reticolo di norme giuridiche è un’azione destinata al fallimento, che può portare solo a conseguenze negative sul piano della cultura e della civiltà.