Il clamoroso flop delle (finte) unioni civili: solo duemila in tutta Italia. È l’ultimo bluff di Ignazio Marino
Meno di duemila le coppie di fatto nelle 137 città italiane che le riconoscono. Sono i numeri impietosi di una verifica realizzata nei registri che dovevano ampliare l’orizzonte dei diritti dei conviventi, che restano, di fatto, solo sulla carta. Un tema serio e avvertito dalle persone ma che purtroppo viene agitato con toni propagandistici e una buona dose di proclami ideologici dalla sinistra (anche nella campagna elettorale per Roma Capitale). Il risultato è che siamo di fronte a un clamoroso flop. Bari è la “capitale” delle unioni civili con 729 coppie che si sono registrate, poi ne abbiamo 650 a Milano, 160 a Torino, 97 a Firenze, addirittura solo 4 a Bologna, 20 a Napoli, con un caso limite: la cittadina umbra di Gubbio, dove il registro fu aperto nel 2002 ed è stato chiuso dieci anni dopo, lo scorso anno, in quanto aveva registrato una sola iscrizione. A Cagliari, dove le coppie registratesi sono solo 9, Salvatore Deidda di Fratelli d’Italia sostiene che il centrodestra «ha provato in tutti i modi ad avvertire i cittadini che sarebbe stato un provvedimento inutile, vuoto, propagandato come grande conquista per coprire il nulla che questa amministrazione stava realizzando». Un flop clamoroso calcolando che il sindaco Zedda è di Sel, fortemente sponsorizzato da Vendola e che, dunque, doveva essere il registro della speranza. Invece, visti i numeri, si deve essere trattato del registro della propaganda. Insomma, il registro doveva essere lo strumento in grado di dare la stura a una rivoluzione laica e dei diritti, invece i cittadini hanno evidentemente compreso che il registro non solo è un contenitore vuoto, ma rischia talvolta di determinare non un aumento ma addirittura una riduzione dei diritti. È il caso di Napoli, dove addirittura si possono smarrire alcune tutele, registrandosi: le ragazze madri, ad esempio, perdono il diritto di assegno. I sindaci commentano la scarsa incidenza del registro per le unioni di fatto, adducendo la motivazione che senza una legge dello Stato in tema di diritto di famiglia, i comuni nulla possono. I comuni in realtà potrebbero qualcosa, ma la motivazione che il “piatto piange” e che coprire nuove spese costa, è sempre lì pronta. La morale è che agitare questa battaglia di civiltà si è rivelata e si rivela una bandiera demagogica. Anche a Roma sono meno di 50 le coppie iscritte ai registri delle unioni civili istituiti dal 2005 in sei municipi dove sono stati attivati i registri. Solo alcui diritti sono acquisiti, come l’accesso ai servizi comunali (casa, servizi sociali), il ricorso alla procreazione assistita e il diritto di conoscere lo stato di salute del partner. Pochino. Attenzione, perciò, quando il candidato sindaco di Roma del centrosinistra Ignazio Marino agita come punto qualificante del suo programma un già conclamato fallimento, la creazione di un registro comunale delle unioni civili. C’è molto da riflettere sulla strumentalizzazione di un argomento che invece è molto serio, sugli annunci fatti ben sapendo che per il momento non si darà concretezza alle parole. Lo scopo non è non certo l’efficacia di una introduzione regolamentare, in quanto il registro delle unioni civili ne è palesemente privo, quanto piuttosto il puro esercizio demagogico di una iniziativa assolutamente fine a se stessa.