In 40mila sfilano a Roma per l’orgoglio omosessuale. E Marino fa pace con gli organizzatori
«Siamo 40.000», dicono gli organizzatori del Roma Pride 2013, che sfila tra le solite rivendicazioni e le immancabili provocazioni. La parata dell’orgoglio Lgbt non cambia registro: dalle eccentriche drag queen ai ragazzi che ballano in costume e che si baciano davanti agli obiettivi dei fotografi. «Il sindaco Marino ci sposi!», si legge su un cartello esposto da due ragazzi mentre si danno un bacio. I carri diffondono musica ad alto volume mentre sfilano per i diritti delle coppie gay, giovani e non più giovani, single e famiglie. Tra gli esponenti politici presenti due neo consiglieri comunali di Roma: Gianluca Peciola (Sel) e il radicale Riccardo Maggi. «Chiediamo il riconoscimento delle unioni civili con una delibera che nei fatti equipara le nuove forme familiari a quelle basate sul matrimonio, per quanto riguarda le attività e i servizi comunali«, dice Maggi. «Una delle delibere che porterò in Consiglio e che ha già raccolto moltissime firme – afferma Peciola – e quella per l’istituzione del registro delle unioni civili. Su questi temi è essenziale che intervenga anche la normativa nazionale».
Intanto è pace fatta tra Ignazio Marino e gli organizzatori. «Rivolgiamo un invito a tutti a mettere uno stop alle polemiche di queste ore», chiede Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center. «Con il sindaco Marino siamo certi che ci sarà modo e tempo di confrontarci. Le sue posizioni su questi temi sono note e siamo certi che ci sarà disponibilità a un confronto serio». A formalizzare la pace è giunta, per mano del consigliere capitolino di Sinistra e libertà Luigi Nieri, la lettera firmata dal sindaco di Roma. «Pur non potendo essere presente – scrive Marino agli organizzatori – personalmente mi preme salutare ed esprimere la mia sincera vicinanza a tutti voi che oggi sfilerete per le strade della capitale nel nome dei diritti e di quella libertà di amare che è propria di ciascun individuo». Dal centrodestra Maurizio Gasparri osserva però che «c’è una sorprendente sproporzione tra lo spazio e l’attenzione dedicati alle unioni gay e lo scarso rilievo che si dà alla famiglia. Senza alimentare scontri è tempo, per chi vuole incoraggiare politiche indispensabili soprattutto sotto il profilo fiscale, di far sentire ben chiara la propria voce».