La bufala della “primavera turca”
Ovunque avvengano incidenti e tafferugli le foto e le immagini che vediamo pubblicate e proiettate rappresentano sempre la brutalità della polizia. Non si è mai visto un articolo che racconti la versione del poliziotto. Lui pesta i dimostranti, perché è pagato per quello. La stampa simpatizza sempre con i contestatori, si eccita per le barricate in fiamme e inorridisce per le manganellate. E questo è semplicemente normale. I governi di tutti i Paesi del mondo, a turno accusati di brutalità poliziesca quando i tafferugli accadono nelle loro città, non resistono alla tentazione di fare dichiarazioni molto sagge e posate per criticare la reazione “eccessiva” dei governi altrui. Generalmente la differenza la fa il “morto”. Se negli scontri ci scappa il morto la cosa prende una piega diversa. Ma il morto spesso c’è scappato anche in Italia, in Francia, in Inghilterra… La lettura che si dà dei tafferugli non può essere però sempre la stessa, sempre teatrale e sempre con gli stessi termini. Questo denuncia una superficialità e una pigrizia che i giornalisti bravi dovrebbero rifuggire. E conoscere il Paese di cui si parla e capire magari anche la lingua aiuta molto. Nei primi giorni della rivolta egiziana tutti i cronisti raccontavano che i giovani si stavano rivoltando perché volevano una società più occidentalizzata. Sullo sfondo c’erano sempre uomini maturi che gridavano “Dio è grande”. Dopo qualche settimana tutti esprimevano stupore per la svolta politica degli eventi… In Tunisia successe la stessa cosa. Tutti entusiasti fino alla follia per i giovani «che calzavano adidas e vestivano in tuta da ginnastica e usavano i social network per chiamare alla rivolta». Ma chiunque utilizza i social network. Si tratta di uno strumento, non di una fede. Arriviamo alla Turchia. Paragonare il ragazzo davanti ai carri armati a Tien-an-Men con la ragazza con la felpa rossa che resiste al getto dell’idrante a piazza Taksim è osceno. La Turchia è un modello di democrazia compiuta. Erdogan è stato al potere a lungo (e da “a lungo” a “troppo a lungo” in politica il passo è breve), ma ci sta perché è sostenuto dalla stragrande maggioranza dei cittadini. E la democrazia è questo. Quando le opposizioni scendono in piazza e spaccano tutto, i giornalisti fanno sempre l’errore di identificare quelli che fanno gli incidenti con “i giovani”, “i cittadini”, gli “studenti”. Di solito sono “alcuni giovani” e “alcuni cittadini”. E se sono 100mila in una città che a pieno carico ne fa 18 milioni non è la stessa cosa. Erdogan ha assicurato alla Turchia una crescita economica impressionante. Quindi i contestatori non sono frustrati dalla marginalità economica come gli stranieri di terza generazione che hanno messo a fuoco la pacifica Stoccolma. I borghesi cittadini sono più ricchi e meno religiosi, gli inurbati che vengono dalle campagne sono più poveri e più religiosi. E sono la maggioranza. L’icona preferita dalle reti tv globali per rappresentare la rivolta in un Paese a maggioranza islamica è ovviamente una ragazza, in canottiera e con una bottiglia di birra in mano. Femmina per ricordare che le donne sono vittime “a prescindere” in una società musulmana, in canotta perché da noi la libertà della donna si misura in base ai centimetri di pelle che può esibire in pubblico e con la bottiglia che significa che hai diritto allo sballo. Bene. Molto edificante. Vale la pena di guardare i primi filmati degli scontri, dove non c’è altro che bandiere rosse con falce e martello. Secondo la Bbc gli incidenti li hanno scatenati gli anarchici. Per difendere 300 alberi. Rettifica: per impedire la costruzione di un centro commerciale. No, per impedire la costruzione di una moschea… per una società più laica… contro le limitazioni al consumo di superalcolici… contro la repressione di militari e giornalisti… per la libertà… per il cambiamento… Insomma, perché Erdogan piace troppo alla maggioranza dei turchi per piacere a chi i turchi li tollera solo nella misura in cui non assomiglino troppo a dei turchi…