La “rivoluzione” sindacale col trucco: l’obiettivo è riportare in vita la vecchia (e indigesta) Triplice
La rivoluzione non russa, è in marcia, piace a padroni e operai, tanto per usare il lessico caro alla sinistra nostalgica degli anni Settanta. Una rivoluzione tanto importante, secondo i figli della Camusso, da resuscitare la vecchia Triplice, di cui si era (fortunatamente) perso il ricordo. È quanto emerge nel day after dell’accordo sulla rappresentanza siglato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. Vietato parlarne male, è il passaparola. E infatti c’è stato un fiume di elogi: è un «accordo importante», per Giorgio Napolitano ed Enrico Letta; un «momento epocale», per Antonio Mastrapasqua; un’intesa che «rilancia l’unità sindacale» e rappresenta una«svolta storica», per la Cgil; mentre Bonanni si spinge a dire che così «si cambia l’Italia». Non è così, la rivoluzione è solo un timido passo e non è tutto oro quello che riluce anche se – in un momento di crisi come quello attuale – nessuno se la sente di sparare ad alzo zero. Ma ci sono macigni che nessuno ha rimosso e che la regola del 51% non aiuta a superare, con un paradosso: i compagni della Fiom, che finora avevano contestato questo metodo, adesso sembrano essere soddisfatti. Però non chiedono scusa a Marchionne e non sottoscrivono l’accordo Fiat di Pomigliano che del nuovo documento è antesignano. Nulla esclude, quindi, che quello che non stava bene alle tute blu di Corso d’Italia, in futuro non stia bene ad altri sindacati. Il tallone d’Achille della trattativa appena conclusa è, infatti, la mancata inclusione di tutti i possibili protagonisti della “rappresentanza” che così non si allarga ma, al contrario, si restringe e va contro quanto stabilisce l’articolo 39 della Costituzione. Basti pensare che chi non firma oggi non può partecipare domani all’elezione delle Rsu. Si possono battere le mani a tutto, ma le regole della democrazia dicono altro. Adesso si tratta di vedere se sul documento concordato si può ancora lavorare oppure è da considerarsi ultimativo. È evidente, infatti, che c’è un quadro legislativo da rispettare e che il diritto alla rappresentanza deve essere garantito per tutti i lavoratori, non soltanto per quelli iscritti a Cgil, Cisl e Uil. Altro che unità sindacale, così si sancisce il diritto del più forte, non si persegue la pace sociale e non si lavora per aumentare la produttività delle aziende. Per sabotare il patto di Marchionne con Ugl, Cisl, Uil e Fismic la Fiom ha fatto ricorso al giudice, non si capisce perché altri in futuro non possano fare altrettanto. A meno che dietro l’angolo non ci siano anche intese di categoria per prevedere sanzioni applicabili alle minoranze che non rispettano i patti sottoscritti dai loro fratelli maggiori. Se questo è bisogna avere il coraggio di dirlo, avendo ben chiaro che la soddisfazione dei bisogni e della capacità dei lavoratori non passa dall’esclusione di chi non si allinea. Questa, cara Camusso, non è la trasparenza di cui tanto vi siete riempita la bocca in questi anni e nel cui nome non avete firmato contratti e non avete sottoscritto accordi che oggi volete imporre a chi non la pensa come voi.