La vicenda Marò alla Nia indiana (che però si occupa di reati che prevedono la pena capitale)
Sulla assurda vicenda dei marò, prigionieri in India da bel 15 mesi, si rischia di proseguire sulla “linea Monti”. Il governo italiano sostiene che l’India è un Paese amico e che la situazione si risolverà certamente per il meglio, ma è un fatto che i marò Girone e Latorre sono dovuti tornare in India dopo che era stato deciso che sarebbero rimasti in Italia perché New Delhi ci ha di fatto “sequestrato” l’ambasciatore. E l’Italia ha ceduto, con il risultato che i nostri due fucilieri di Marina, la cui colpevolezza non è stata ancora provata, dal febbraio 2012 sono trattenuti nel Paese asiatico contro la loro volontà. Da più parti si è sostenuto che l’Italia dovrebbe minacciare di ritirarsi dalle missioni internazionali come il Libano e l’Afghanistan nel caso che la vicenda dei marò non venga conclusa in modo soddisfacente ed equo. Però, a ben vedere, poche delle richieste italiane sono state esaudite: dell’inchiesta se ne occupa l’Agenzia nazionale delle investigazioni (Nia) indiana, come ha fatto sapere l’ex sottosegretario agli Esteri e ora inviato speciale del governo per il caso marò Staffan de Mistura. Conscio delle polemiche suscitate dall’incarico dato a una polizia che in India si è occupata a oggi solo di terrorismo e che è pratica soprattutto di leggi che prevedono la pena di morte, de Mistura è convinto però che la scelta debba prescindere dall’esperienza del passato. La Nia, ha detto all’agenzia Ansa a New Delhi dove si trova in missione, «sta lavorando sodo» e fra poco affronterà anche il nodo dell’interrogatorio dei testi italiani. «Ho potuto verificare dagli incontri avuti, anche con il ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid – ha aggiunto – che le indagini stanno procedendo nello spirito di un processo veloce ed equo. Ci sono stati dei ritardi nell’inchiesta – ha indicato – causati da discussioni necessarie per definire le modalità dell’utilizzazione dei testimoni». Fra questi i quattro marò (Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana e Alessandro Conte) che erano sulla nave “Enrica Lexie” con Latorre e Girone e che le autorità indiane vorrebbero ascoltare a New Delhi. Una ipotesi che però non piace al governo italiano.ì, il che probabilmente vorrà dire altri ritardi nei tempi, «non posso entrare nei particolari di questo perché stiamo ancora discutendo – spiega de Mistura – ma certo ci sembra che un loro interrogatorio possa essere fatto anche in Italia». Per quanto riguarda poi la prima inchiesta svolta dalla polizia del Kerala (annullata dalla Corte Suprema per mancanza di territorialità, ndr.), ha spiegato l’inviato, «non tutto verrà rivisitato dalla Nia, ma solo quelle parti in cui è apparso che gli inquirenti keralesi fossero prevenuti e cercassero di fabbricare conclusioni prestabilite». Per de Mistura, «appena terminata questa nuova inchiesta dovrà iniziare il processo per direttissima guidato da un solo giudice nel quale siamo pronti ad utilizzare tutti gli argomenti a disposizione a favore dei nostri marò». I due militari italiani, bloccati come detto dal febbraio 2012, dopo varie peripezie e dopo anche un periodo nel carcere di Trivandrum, ora vivono e lavorano come funzionari nell’ambasciata d’Italia e si preparano al processo in cui dovrà emergere la verità sull’incidente di quel 15 febbraio, quando morirono due pescatori indiani a bordo del “St.Antony”. In definitiva, sta trionfando “il metodo indiano” del procrastinare ogni cosa.