Meglio dare i soldi pubblici alle Frecce tricolori che all’Anpi
Le Frecce tricolori sono un simbolo. Una parola di derivazione greca che vuol dire “tenere insieme”. E quindi non a caso i nostri aerei tricolori piacciono a tutti gli italiani. Ogni anno, però, i soliti commentatori disfattisti, la solita sinistra pacifinta grida contro la parata del 2 giugno, contro le Frecce tricolori, contro gli sprechi militari. Gli stessi sempre pronti a tuonare contro anche la riduzione di un solo euro di spesa pubblica. Dispiace che il gabinetto neo Dc di Letta si sia piegato a una retorica ipocrita, pacifista e antinazionale. Perché risparmiare quattromila euro a volo (tanto costano le Frecce tricolori) non serve a nulla. Mentre eliminare un simbolo di orgoglio nazionale ha un prezzo enorme. La sinistra tuona contro le frecce tricolori e i suoi costi, ma poi pretende fiumi di soldi pubblici per l’Anpi. Sono sempre pronti a immaginare nuove tasse e nuove spese pubbliche, i seguaci del Rodotà-pensiero; ma poi vogliono tagliare 4.000 euro di frecce tricolori. Incoerenti. Quindi di sicuro non c’è alcuna richiesta di sobrietà
“economica” alla base della contrarietà alle frecce tricolori. «In un momento di crisi come questa, è giusto rinunciare alle frecce tricolori», dicono sia Vendola che il ministro della Difesa. Ma l’Italia è in crisi da vent’anni. E negli altri paesi europei la crisi non taglia i simboli nazionali. Non solo, ma per la destra la spesa pubblica va tagliata, ma non quella militare, specie se – come nel caso italiano – non arriva all’1% del Pil, mentre la Nato chiede ai suoi partner almeno un 2% per assicurare la sicurezza comune. Alla base della “guerra” contro le frecce tricolori, c’è la solita ideologia antimilitarista e pacifista. L’Italia è un paese senza grande cultura militare, portato anche della sconfitta nella Seconda Guerra mondiale. E di certa retorica sui nostri soldati del tipo “italiani brava gente”. Non solo, ma cancellare le frecce tricolori è anche un tentativo di svilire la valenza della ricorrenza del 2 giugno, che per quanto fu data di divisione (la metà degli italiani votò per la monarchia) è oggi un elemento che unisce tutti gli
italiani, a differenza del 25 aprile. Nonostante abbia scoperto il valore del tricolore da pochi anni, la sinistra continua a essere allergica alla cultura nazionale. E continua così la sua battaglia contro i simboli nazionali. Sono gli
stessi che invocano il rito dei nostri militari da ogni contesto bellico, dimenticando che in quei contesti si persegue l’interesse nazionale e la difesa della nostra democrazia. Mentre per i tanti Rodotà che affollano lo schieramento sinistro, la democrazia si tutela di più – per esempio – attraverso il finanziamento pubblico ai partiti, uno strumento immaginato dai “difensori della Costituzione” per impedire che la politica diventi faccenda esclusiva di ricchi e potenti. Come se in questi anni di fiumi di soldi dei cittadini giunti ai partiti, non ci fossero stati uomini ricchi e potenti come protagonisti della vita pubblica, a destra e a sinistra. Così suona curioso che le frecce tricolori siano dipinte come uno spreco da tagliare, mentre i soldi pubblici ai partiti siano “virtuosi”. Logiche incomprensibili al buon senso comune. Ma logica comprensibile secondo l’ideologia di sinistra. Ecco perché la destra deve essere intransigente: sui simboli della Nazione non si taglia. E se l’anno prossimo si dovesse riproporre la polemica, forse darebbe cosa buona e giusta che a fare il pieno di carburante nei nostri aerei tricolori siano i cittadini attraverso donazioni volontarie. Così come dovrebbe essere per i partiti.