Occidente al bivio: esportare la laicità o esportare la democrazia
L’anno scorso la Oxford University press ha pubblicato un saggio di Charles Kupchan, professore di relazioni internazionali all’Università di Georgetown, intitolato No one’s world. Il titolo, che sta per “Il mondo di nessuno”, gioca sulla definizione “terra di nessuno”, ma intende dire tutt’altro. Il mondo sarebbe oggi di nessuno nel senso che nessuno se ne può più considerare la guida o il padrone. Kupchan descrive una realtà che non è futura ma già presente e sotto gli occhi di tutti in cui, per ragioni economiche che poi fanno da traino alle evoluzioni sociali e politiche, ormai il mondo multipolare è una realtà e il progresso e lo sviluppo avvengono parallelamente con modelli diversi.
Agli Usa, che sono com’è ovvio il principale obiettivo di questo “avvertimento”, Kupchan spiega che ormai in tutto il mondo è in atto un’adozione del modello democratico, semplicemente perché risulta come il più “conveniente”, ma che la democrazia non è e non sarà di un solo tipo, planetariamente omogeneo, ma che ogni realtà in evoluzione svilupperà il suo. L’Occidente quindi dovrà scegliere su quali compatibilità puntare nelle sue relazion i con il resto del mondo. Resto del mondo che ormai rappresenta non più solo i due terzi delle nazioni rappresentate all’Onu, ma anche i due terzi della ricchezza. L’odierna situazione turca, che tutti eccetto i consulenti del Dipartimento di Stato Usa, stanno affrontando con superficialità e categorie inerziali, mette in luce il problema in modo eclatante. La laicità, che ormai è il laicismo, che è considerato un aspetto fondante della democrazia occidentale, non è conciliabile con le caratteristiche del resto del pianeta, dove l’appartenenza comune è fondata ancora su valori che trascendono e precedono l’individualismo essitenziale. Se la democrazia è la possibilità per la maggioranza dei cittadini di scegliere una rappresentanza politica adeguata alle proprie ambizioni e conforme ai valori condivisi, in un Paese a maggioranza musulmana sarà una democrazia islamica. E nessuno più di chi è stato governato per mezzo secolo dalla Democrazia cristiana dovrebbe comprenderne il perché.
L’esportazione della democrazia come è stata intesa fino a dieci anni fa sembrava funzionare perché aveva come fruitore finale Paesi poveri e deboli, che venivano indirizzati verso il modello occidentale prima col bastone militare e poi con la carota del sostegno economico. Ora il mondo non ha più un solo ricco e potente, ne ha più d’uno e ne avrà forse di più in un prossimo futuro. Il sogno di trasformare tutti i cittadini del mondo secondo il catechismo del politicamente corretto è quanto mai velleitario e rischia anzi di trasformarsi in un incubo di reazioni a catena che possono far saltare i nuovi e ancora fragili equilibri globali. Come sottolinea Kupchan, il modello non può essere universalizzato perché emerge da condizioni socioeconomiche uniche all’Europa e agli Usa. “Se la svolta globale che si profila dovrà realizzarsi in modo pacifico, è inevitabile che l’Occidente e il Resto del mondo emergente dovranno trovare un accordo non solo su questioni di posizione e prestigio, ma su come trovare consenso sui valori che definiscono la legittimità e governano campi quali il commercio, la guerra e la pace”. La dottrina del “perché lo dico” che è stata considerata giustificazione sufficiente dall’Occidente nell’ultimo secolo, non è più sufficiente.