Pari opportunità: un ministero di terza fila che finisce sui giornali solo per il gossip, le risse, i fallimenti
Enrico Letta valuterà il “caso Idem” per portare per mano Josefa alle dimissioni. La storia si è fatta troppo imbarazzante perché il premier non pensi di metterci un punto e voltare pagina. E così anche questa volta un ministro della Pari opportunità finisce con il far parlare di sé per il gossip sui giornali, per le liti, per la gogna mediatica, per la contrapposizione con il partito di provenienza. Quel ministero non porta fortuna politica, anzi. Le ministre che si sono succedute su quella poltrona hanno fatto parlare di sé per tutto ma non certo per epocali provvedimenti in favore del genere femminile. Non che non abbiano fatto nulla, anzi. Ma la risonanza mediatica dei loro pensieri e parole si è concentrata su aspetti molto meno istituzionali. Il “privato” ha giocato un ruolo determinante a tutto svantaggio del pubblico.
Chi si ricorda, ad esempio, di Katia Bellillo? Esponente della sinistra tutta d’un pezzo, quella ministra fu protagonista di una rissa in grande stile con Alessandra Mussolini a “Porta a porta”. Bellillo aveva dinanzi a sé la nipote del Duce e, proprio lei che avrebbe dovuto essere garante di comportamenti non discriminatori, si avventò sulla nemica politica sentenziando: “Chiudi quella bocca che ti chiami Mussolini, non hai diritto di parlare”. Questo è l’unico episodio, non certo luminoso, di cui abbia lasciato traccia in qualità di ministro.
Poi venne la bionda Stefania Prestigiacomo. Animata da buonissime intenzioni, la sua battaglia per le preferenze di genere fu silurata in aula proprio dagli amici e alleati di centrodestra. “Pugnalata” cui Stefania reagì con lacrime di stizza e tutto finì con Silvio Berlusconi che le raccomandò di non fare i capricci. Anche del suo ministero, si ricordano più quelle lacrime di altre iniziative. E proprio allora si cominciò a definire la percezione che le Pari opportunità erano un orpello, un contentino. Che si trattava, insomma, di un ministero di terza fila.
E venne il tempo di Barbara Pollastrini, firmataria in qualità di ministra delle Pari opportunità del controverso disegno di legge sui Dico (diritti delle persone stabilmente conviventi) che non vide mai la luce. Non solo, ma la “maternità” del provvedimento spetta, per l’opinione pubblica, all’altra e più famosa firmataria, Rosy Bindi. Dunque per Pollastrini si ha memoria solo di un fallimento politico e d’immagine.
E veniamo alla battagliera Mara Carfagna. Appena arrivata ha dovuto vedersela con i tanti che le rimproveravano un passato da velina. Appena conquistato un appeal istituzionale ha dovuto vedersela con le grossolane battute di Sabina Guzzanti. Riesce almeno a far passare la legge sullo stalking ma il vero successo politico lo consegue però quando non è più ministro, con l’esclusione dalle liste Pdl di Nicola Cosentino.
Infine, dopo la parentesi montiana, abbiamo Josefa. Ma una delega da sottosegretario l’aveva avuta anche Michaela Biancofiore, “allontanata” dal ministero su pressione delle lobby gay che non avevano gradito alcune sue esternazioni giudicate omofobe. Ora è la volta di Josefa Idem: tutto lascia pensare che anche lei sarà costretta alle dimissioni. Il suo è certo il caso più eclatante ma, a rivedere la storia di questo non brillante ministero, se ne deve concludere che di certo le Pari opportunità non rappresentano la delega più esaltante e ambita da ricevere per le donne in politica. Anzi, portano pure un po’ jella…