Reggio Calabria: sparisce un pentito della ‘ndrangheta. Si prospetta l’ipotesi di una fuga

6 Giu 2013 17:20 - di Redazione

Si sarebbe allontanato volontariamente Nino Lo Giudice, il pentito di ‘ndrangheta sparito da ieri dalla località protetta in cui era agli arresti domiciliari. È l’ipotesi che viene fatta dalla Dda di Reggio Calabria. Lo Giudice sta scontando agli arresti domiciliari la condanna sei anni e quattro mesi inflittagli per gli attentati fatti nel 2010 contro la Procura generale di Reggio, la casa del procuratore generale Di Landro e l’intimidazione all’allora procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone. C’erano voluti solamente otto giorni di carcere per convincere  Lo Giudice a iniziare a collaborare con la giustizia. Era il 7 ottobre del 2010 quando venne arrestato dagli agenti della squadra mobile di Reggio Calabria. Il 15 ottobre, mentre era detenuto nel carcere di Rebibbia, decise di saltare il fosso e diventare “pentito”. Iniziò così a fare le prime rivelazioni. Prima di lui, il passo verso lo Stato lo aveva fatto nel 1999 il fratello minore Maurizio, dopo una pesante condanna per l’omicidio di un ristoratore reggino, Giuseppe Giardino, al quale Maurizio aveva tentato di sottrarre l’incasso della giornata sotto casa della vittima.

Antonino, Massimo, Pietro e Maurizio Lo Giudice sono figli del defunto boss del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria, Giuseppe. I figli di Peppe Lo Giudice a lungo sono stati dediti solo a usura e commercio di frutta e verdura e sono restati fuori dagli appalti pubblici e privati, settore dove primeggiano altre “famiglie”. Nel 2010 le cosche cominciano ad alzare il tiro su obiettivi istituzionali, come la Procura generale e lo stesso Pg, Salvatore Di Landro, oggetto di attentati dinamitardi. Poi arrivarono l’arresto e il pentimento di Nino Lo Giudice. Tra le prime rivelazioni fatte ci furono proprio quelle relative agli attentati ai magistrati reggini. Lo Giudice si è autoaccusato delle bombe alla Procura generale ed al Pg Di Landro chiamando in causa anche il fratello Luciano Lo Giudice, Antonio Cortese, ritenuto l’armiere della cosca, e Vincenzo Puntorieri.

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