Un’incertezza tira l’altra: intanto il Paese naviga a vista e rischiamo il naufragio

22 Giu 2013 18:34 - di Silvano Moffa

La settimana si chiude tra molte incertezze e segnali non proprio entusiasmanti. Lo spread torna a salire. Sui mercati si riaffaccia lo spettro della speculazione. Le previsioni, in ambito borsistico, sono tutt’altro che rosee. Incombe la paura di una estate molto calda. Non solo per ragioni meteorologiche. Intanto le fabbriche continuano a chiudere o a mettere il personale in cassa integrazione. L’ultima industria in sofferenza è la Indesit che ha presentato ai sindacati un piano di “razionalizzazione” che prevede 1.425 esuberi, con rischio chiusura di alcuni stabilimenti a Fabriano e nel Casertano. Mediobanca, la storica banca di affari del capitalismo italiano, cambia registro e manda in soffitta i patti di sindacato, su cui per decenni proprio quel capitalismo si è retto. Cesare Romiti, che certo se ne intende, vi intravede la “fine di un epoca”. Non sono più i tempi di Mattioli e Mattei. Né di Enrico Cuccia. Quando Mediobanca non  si limitava ad elargire credito alle imprese, ma entrava direttamente nella sfera azionaria scegliendo  e condizionando management e politiche si sviluppo. Così, ricorda Romiti, si rimise in piedi il sistema industriale del Paese dopo la guerra. Salvo poi far diventare Mediobanca una stanza privilegiata di compensazione della finanza italiana. Con tutte le conseguenze che sappiamo. E che ora affiorano, dopo anni di  gestione spesso avventurosa, per non dire altro, di un sistema che ha visto illanguidirsi il castelletto opulento di partecipazioni accumulato nel tempo.

Il caso Fondiaria-Sai, prima, ma ancor più la mala gestione del Monte dei Paschi, hanno aperto una falla enorme e intaccato la filosofia del “salotto buono”. E poi, una dopo l’altra, le vicende Rsc, di cui l’Istituto è sia azionista sia banca creditrice, e la Telco, cassaforte di Telecom, di cui Mediobanca detiene l’11,6%, che ha fatto registrare perdite di poco inferiori al miliardo di euro. L’uscita dai patti di sindacato è condizione propedeutica per la cessione di quote. Staremo a vedere come risponderanno in futuro i mercati . Per il momento la  decisione dell’amministratore delegato, Alberto Negel, è stata accolta negativamente. Il titolo ha lasciato 6 punti percentuali nella giornata di ieri ed è stato sospeso al ribasso per evitare guai peggiori. Pesa evidentemente l’incertezza sul futuro e la poca chiarezza sulla fisionomia che l’istituto vorrà assumere.

Di incertezza in incertezza. Incerto è anche l’incedere del governo Letta. La Camusso ,– la Camusso, si badi, che non è certamente  una avversaria del Pd – ha gridato dal palco di San Giovanni che bisogna smetterla con gli annunci cui non fanno seguito le scelte.  Erano dieci anni che i sindacati non scendevano in piazza  uniti. Dal dicembre 2003. Quando manifestarono contro la Finanziaria del governo Berlusconi. Enrico Letta, con l’estenuante tattica del rinvio è riuscito nella storica impresa di riunificare il fronte sindacale. Ci sono riforme come quella del lavoro e delle pensioni che non possono più attendere. Ricordate gli esodati ? Tutti si erano impegnati, in campagna elettorale, a risolvere il problema. E’ una questione di giustizia e di equità. Di rispetto dei patti, dicevano sia a destra che a sinistra. Ora, il ministro Giovannini, che quando era presidente dell’Istat era andato in Parlamento a presentare tabelle statistiche allarmanti sulle condizioni sociali del Paese, non sa più che pesci pigliare. E allora che fa? Rinvia tutto a settembre. Come se di qui a due mesi le condizioni generali in cui versiamo possano cambiare.

In verità c’è il rischio che cambino in peggio. Secondo un rapporto di Mediobanca Securities l’Italia è a rischio fallimento se non ritrova la via della crescita entro sei mesi.  Ad allarmare gli analisti è il diverso rendimento dei Btp rispetto ai Bot.  Una diversità che sembra nascondere la preoccupazione che il nostro Paese non riesca a contenere il debito. E di conseguenza sia costretto a chiedere l’aiuto dell’Europa. Insomma un destino molto simile a quello della Grecia e della Spagna.

Se si pensa che nell’agenda della prossima settimana il governo si ritroverà tutte le questioni ancora aperte – dall’aumento dell’Iva alla riforma del mercato del lavoro, all’Imu –  rischia di diventare insolente oltre che perniciosa la tattica del “rinvio a settembre”. L’unico comune denominatore su cui poggia la strana e fragile alleanza politica tra Pd e Pdl , vale a dire tra i due blocchi “minoritari” che guidano il Paese, è l’urgenza di far subito e bene riforme non più rinviabili. Se anche questa tenue “ragione sociale” dovesse venir meno, non  si capirebbe più il senso di una tale unione. Quel che è peggio è che avremmo perso altro tempo. Con un Paese ridotto sul lastrico.

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