Viva l’Italia “Arretrata” che resiste alle nozze gay
È forse tempo di scrivere un accorato elogio dell’Arretratezza. Con la maiuscola, ad indicare non tanto una condizione di cui si è prigionieri quanto una scelta di cui andare fieri. Dopo la sentenza della Suprema Corte americana, che ha aperto ai matrimoni omosessuali anche negli Stati Uniti, si allunga significativamente l’elenco delle nazioni occidentali nelle quali l’unione tra due uomini o due donne costituisce un rapporto giuridicamente rilevante e tutelabile. Prima degli Usa ci sono Spagna, Francia, Gran Bretagna, tanto per citare gli esempi più noti. Il prossimo passo saranno le adozioni di minori da parte di coppie gay. Sempre in nome del diritto alla felicità, senza ovviamente chiedersi se mai lo saranno anche quei bambini “figli” di due mamme o di due babbi.
L’attenzione è ora destinata a concentrarsi sull’Italia, nazione talmente Arretrata da ostinarsi ancora ad ospitare la sede di Pietro nonostante il Vatileaks, la pedofilia e lo Ior. Circostanza che fa di noi il bocconcino più prelibato, quello che si ingoia per ultimo, dulcis in fundo, come consigliavano i latini. Finora il nostro Paese ha tenuto bene all’ondata prima zapaterista, poi hollandiana ed ora obamiana per una serie di ragioni. Del Papa si è già accennato. Da noi, inoltre, anche per effetto della cultura cattolica, resiste una tradizione giuridica che per quanto risulti in più parti lesionata, si mostra ancora solida e salda nel tenerci ancorati alle colonne d’Ercole del diritto naturale oltre le quali è facile imbattersi in autentiche aberrazioni del pensiero travestite da tendenza del momento. C’è, infine, il fattore B, inteso come Berlusconi, il tycoon che a dispetto della tv commerciale che ha inventato e della “draivizzazione” del linguaggio e del costume nazionale di cui è additato come responsabile dall’establishment culturale, è riuscito a tirar su e persino a tenere in piedi fino a ieri una maggioranza parlamentare capace di sbarrare l’ingresso a tutte quelle innovazioni legislative guardate da Oltretevere con grande diffidenza.
Di questi tre elementi, il meno saldo appare proprio quest’ultimo, quello politico. L’antica alleanza si è sfarinata, l’invitto leader si sente braccato da sentenze giudiziarie in arrivo da ogni dove e persino il grande partito dei moderati da lui realizzato e che doveva costituire l’imperituro lascito del suo passaggio nella politica, di fatto, non esiste più. Ha prima perso pezzi, poi le elezioni ed ora tenta un improbabile ritorno alle origini trasfigurando in quella Forza Italia che sull’argomento reca in dote un bel carico di ambiguità, come dimostrano le recenti sollecitazioni di alcuni suoi parlamentari di rilievo a sdoganare il tema delle unioni gay anche nel centrodestra. Resistenze interne non mancano, ma ora s’intravede una crepa nella diga che prima non c’era.
Non è detto tuttavia che sia un male. Tranne qualche lodevole eccezione, finora la forza dei numeri non ha stimolato il centrodestra ad affrontare il tema dei cosiddetti diritti individuali attraverso un’ariosa battaglia culturale. Da questo punto di vista si è pigramente rintanato nel formale ossequio delle gerarchie ecclesiastiche, a volte persino tracimando in posizioni più realiste del re. Questa rendita di posizione ora sta per finire e la sfida è oggi soprattutto altrove. Non basterà più schiacciare – più o meno consapevolmente – un tasto in Parlamento, ma occorrerà far capire che i legittimi e rispettabili desideri di variopinte e chiassose minoranze non possono sviarci dal soddisfacimento dei veri bisogni dell’Occidente, inteso non solo nella sua accezione geopolitica, la cui eclissi di valori è destinata ad incidere direttamente sul tema della competitività produttiva e della coesione sociale.
Tra demografia e democrazia, tanto per dirne una, non vi è solo un’assonanza fonetica ma un nesso ben più stretto e decisivo per la tenuta di un popolo. Ignorare che il tema del decremento delle nascite non abbia a che fare con l’invecchiamento della popolazione e in definitiva con l’aumento esponenziale della spesa pubblica per previdenza e sanità, vuol dire non aver compreso la vastità e la profondità della crisi. È solo un esempio, ma sufficientemente chiaro a far capire come alcune questioni vadano inquadrate in ben più alti ed ampi contesti e come l’unione tra un uomo e una donna sia tutt’altro che un fastidioso orpello del passato ma la base stessa su cui progettare il futuro. E questo spiega anche il perché, con buona pace dei nuovi progressisti della vecchia Forza Italia, noi preferiamo restare nella tribù degli Arretrati.