Benigni non sa più che dire, parla solo del Cav. Il nuovo comizio-show sa di muffa
Sarà anche un premio Oscar, saprà recitare Dante come pochi altri ma è un comico di sinistra. E come tutti i comici di sinistra è un disco rotto, il suo repertorio sa di muffa. Roberto Benigni continua ad avere una manìa, un tic, un’ossessione che si chiama Silvio Berlusconi. Non parla d’altro, dal Festival di Sanremo al palco di piazza Santa Croce a Firenze. Non gli va giù che il Cavaliere sia ancora lì, non gli va giù che il Pd sia uscito ancora una volta con le ossa rotte dalla sfida elettorale con lui, non gli va giù che la vendetta – come il paradiso di un celebre film – può attendere (e a lungo): «Povero Pd, ha aspettato trent’anni per vedere una condanna di Berlusconi e il 30 luglio, se la Cassazione condannerà il Cavaliere, non potrà esultare, perché sono alleati». Non vi preoccupate – ha aggiunto Benigni – «non lo mandano in prigione anche se lo condannano: lo affidano ai servizi sociali». Battute squallide, scontate. In ogni passaggio dell’ultima performance fiorentina, con Renzi gongolante, Benigni è tornato su Berlusconi e gli ha dedicato anche la canzone, aggiornata, cantata nel 1996: «Io sono il boss, il padreterno, lo so che ora c’è un altro al governo, ma chi comanda sono sempre io». Dopo aver citato tutti i protagonisti della politica vicini al Cavaliere, il testo si è concluso ricordando che Berlusconi può comprare tutto, «il mar Mediterraneo, compro tutto dalla A alla Z, ma quanto costa questo cazzo di pianeta. Poi compro Dio, sarebbe a dire compro me stesso». E poco prima, guardando la statua di Dante in piazza Santa Croce, che ha un «uccello ai piedi», ha sottolineato come se fosse stata quella di Berlusconi sarebbe stato il contrario. Ma il “comico” offende anche Alfano: «Guardandolo, si capisce che non sa niente». Purtroppo per Benigni, però, si può tranquillamente dire che aascoltando le sue pseudo-battute si capisce che, tolto Berlusconi, non ha un altro argomento. La creatività artistica viene a mancare anche per un premio Oscar. Un po’ come sta capitando a un altro premio (stavolta Nobel) di nome Dario Fo. Tra i due “premi” non c’è differenza. Hanno un solo copione e un solo “nemico”. Facile indovinare quale. Altrettanto facile capire il perché.