Destra, non basta la parola

1 Lug 2013 19:07 - di Marcello De Angelis

Alemanno ha dichiarato che la scelta di Berlusconi di rilanciare Forza Italia significa, tra le altre cose, che si apre lo spazio per un nuovo soggetto politico a destra. Significa anche – e soprattutto – che l’esperienza del partito unico di centrodestra a vocazione maggioritaria è terminata. O addirittura fallita, dal momento che Berlusconi è stata la figura centrale del percorso che ha portato alla nascita del centrodestra (senza trattino) ed è sempre lui che, rilanciando Forza Italia come partito liberale di massa, ha rimesso di fatto un trattino e creato uno spazio di risulta al di fuori del suo progetto. Quindi, di fatto, come in una nemesi, è di nuovo per sua volontà che si crea lo spazio o la necessità per un soggetto altro. D’altronde l’idea che oltre al suo partito liberale dovesse esistere un’ala alla sua destra (che rendesse il suo progetto “centrale” e “centrista”) è un suo vecchio pallino e a qualcuno potrebbe apparire paradossale che tra i più entusiasti sostenitori del ritorno a Forza Italia ci sia l’amica a cui aveva affidato proprio il presidio dell’ala destra, Daniela Santanché, che nel 2006 si candidò premier a capo del partito di Storace, escluso – forse per pressioni di Fini – dagli accordi di coalizione. Dopo quell’esperienza Santanché lasciò la Destra e venne recuperata come sottosegretario nel governo Berlusconi e oggi è tra i massimi vertici del Pdl. Nel momento in cui ci si pone quindi la prospettiva di un soggetto nuovo o rinnovato a destra di Berlusconi, non si può tralasciare il fatto che “destra” non può essere soltanto una parola o una collocazione temporanea nello schieramento. Se destra può essere tutto o tutti, ne consegue che non è nulla. Sarebbe superficiale non ricordare che già in An c’era uno scontro profondo e continuo tra varie visioni della Destra. Alemanno e Storace sostenevano quella “sociale” – così come declinata da Giano Accame – Urso e Ronchi sostenevano quella “liberale”, filo-americana senza se e senza ma, ispirata al conservatorismo anglosassone e proiettata oltre i confini della destra storica. Alemanno stesso in realtà era interprete di “quella destra che ha sempre rifiutato l’etichetta di destra”, per dirla alla Marco Revelli. Se gli appelli a rifondare la destra dovessero limitarsi a una chiamata a raccolta di quei soggetti che, a vario titolo, sono transitati per An, rischierebbe di dare vita a un partito di uomini (e donne), anziché a un partito di idee. E questo verrebbe accolto con grande scetticismo dai potenziali elettori. Quindi, è necessario che almeno si ridefiniscano i confini del concetto di destra politica. Che non può essere certo il rifiuto dei matrimoni gay o dello jus soli, posizioni non molto identificanti e che si trovano anche altrove. La destra deve rappresentare una diversità, a partire dai comportamenti. I potenziali elettori lo esigeranno e non si accontenteranno di frasi che riecheggino un passato che – per la sua lontananza – appare sempre più bello e mitico. Oggi c’è molta nostalgia per An, ma quando venne fondata la nostalgia era per il Msi. E per onestà intellettuale bisogna ricordare che quasi tutti, a partire da Tatarella, ritenevano già allora il Msi poca cosa in confronto alla missione che una destra nazionale e popolare dovesse e potesse svolgere. Sarebbe triste dare l’impressione che oggi si riproponga il passato perché nessuno ha un’idea per il futuro. Un dato è certo: la “destra”, comunque la si intenda, non trarrà vantaggio da altre divisioni, né si possono rimettere insieme i pezzi di un vaso rotto sperando che nessuno si ricordi che era andato in frantumi. O che tutti si dimentichino chi l’avesse fatto cadere.

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