E De Gregori mette il dito nella piaga di una sinistra sempre sull’orlo di una crisi di nervi
Diceva Enzo Biagi che «si può essere a sinistra di tutto, non del buon senso». Chissà, forse Francesco De Gregori avrà ripensato a questo aforisma di una delle vecchie colonne del giornalismo italiano quando ha risposto alle domande di Aldo Cazzullo nella bella intervista pubblicata dal Corriere della Sera. Il capofila di quelli che furono i cantautori impegnati degli Anni Settanta non fa sconti a quella che considera ancora la sua parte politica («continuo a pensarmi di sinistra»). Da Bersani ed Epifani a Renzi, il Pd gli appare un «arco cangiante che va dell’idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità». È una sinistra attovagliata e aggrovigliata quella dipinta da De Gregori, giacché «si commuove per lo slow food e poi magari, en passant, strizza l’occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini». Una sinistra un po’ isterica e inutilmente spaccona: «Ora il Pd è di moda occuparlo, prendere la tessera per poi stracciarla. Non ne posso più di queste spiritosaggini». Una sinistra che non sa più porre i problemi nella loro giusta gerarchia di importanza: «Forse potevamo farci qualche domanda in meno su Noemi e qualcuna di più sull’Ilva di Taranto».
L’astro nascente Renzi? Il vecchio menestrello punzecchia anche lui. «È uno che ha sparigliato», ma la scelta «del termine rottamazione non mi è piaciuta, mi è sembrata volgare e violenta, e poi non sono più disposto a seguire nessuno a scatola chiusa». De Gregori va anche controcorrente sulla mitica democrazia 2.0 idolatrata dai grillini. «Questa idea della Rete come palingenesi e istituzione iperdemocratica mi ricorda i romanzi di Urania».
Andrebbero segnalati altri, significativi passi dell’intervista . Ma questa rapida selezione è sufficiente a dare l’idea dell’importanza e dell’incisività delle critiche delcantautore. Attenzione, non è che De Gregori dica cose sconvolgenti e clamorose: le sue rilevazioni sono, per certi aspetti, ovvie e scontate. Ma proprio qui sta il punto. Il fatto che dare prova di buon senso sia cosa anticonformista è il sintomo eloquente della confusione mentale che regna a sinistra. Le cause sono varie e complesse. Però non si va lontano dal vero quando si rileva che la sinistra odierna sconta l’antico errore, risalente ai tempi di Prodi, di proporsi come soggetto politico pigliatutto, al solo scopo di battere la destra. Questo antico vizio la porta a oscillare vanamente tra riformismo e radicalismo. E a risentirne non è in definitiva soltanto la sinistra, ma l’intero sistema politico italiano. Perché, di una sinistra capace di fare il suo mestiere, trarrebbe giovamento anche la cultura politica della destra. Il bipolarismo cammina su due gambe. E, quando una zoppica, è l’intera democrazia a essere claudicante. Il grillismo non è una terza gamba, ma un protesi della sinistra che rischia di mandarci tutti sulla sedia a rotelle.