I 70 anni di Toto Cutugno, italiano resistente ai pregiudizi
Li festeggerà in giro per il mondo, Toto Cutugno, i suoi settant’anni, e le candeline (è nato il 7 luglio 1943) le spegnerà sul palco, visto che è impegnato in concerti ovunque: è appena rientrato dalla Turchia, e sta organizzando le prossime date estive tra Russia e Stati Uniti. Quasi una contraddizione vivente, per lui,artista “apolide” perennemente in viaggio, che però nell’immaginario collettivo è ormai per tutti, a casa come all’estero, “l’italiano per eccellenza”. Quello fotografato nel 1983 nel suo brano più famoso, cantato ovunque quasi come un vice-inno nazionale (si narra addirittura che una volta, al suo arrivo in uno Stato dell’Est europeo, nel cerimoniale di saluto per l’allora presidente della Repubblica Ciampi, sia stato eseguito il pezzo di Toto Cutugno invece che il rituale Fratelli d’Italia). Un’immagine e un ruolo, quelli celebrati ne L’italiano, rivendicati anche tre anni fa, quando Cutugno ha festeggiato quarant’anni come autore e trenta come cantante, annunciando di non avere nessuna intenzione di smettere, fedele a quello che nel tempo si è trasformato da ritornello di una canzone a slogan di una vita: «Lasciatemi cantare con la chitarra in mano, lasciatemi cantare, sono un italiano». Un italiano che si è esibito sulle ribalte più prestigiose, a New York come al Cremlino, capace di esportare nel mondo gusti e tic, pregi e vizi, amori e contraddizioni dei suoi connazionali, stigmatizzando nel tempo – tra composizioni sentimentali e produzioni nazionalpopolari – l’immagine di un Paese priva di quella socialpolitik spesso noiosamente radical chic.
Forse per questo la critica militante progressista è tornata ad applaudire Cutugno giusto all’ultima edizione del Festival di Sanremo – quella di Fazio, quando il cantante è tornato sul palco dell’Ariston accompagnato dal coro dell’Armata Rossa – dopo averlo a lungo relegato nella serie b dei cantautori. Quelli più prosaicamente inclini al successo conquistato con melodie e temi “disimpegnati”: un codice creativo esaltato definitivamente in negativo alla dichiarazione di qualche anno di Toto Cutugno che, in un’intervista rilasciata a Il Giornale, affermava: «Berlusconi? Politicamente non lo valuto, ma umanamente mi ha letteralmente stregato». Un coming out che ha decisamente penalizzato il cantautore, e motivato la critica spesso incline a storcere il naso, salvo recuperi dell’ultim’ora, a sperticarsi più che mai in stoccate e affondi, fino al corto circuito: per cui a Cutugno, autore per Celentano e Leali, con all’attivo milioni di dischi venduti in tutto il mondo, entrato nelle case del popolo russo, come nel cuore del pubblico televisivo di casa nostra, con un blasone professionale di tutto rispetto, si è quasi sempre preferito chiunque altro, limitandosi a registrarne – con riserva – l’indubitabile successo. Fino al Sanremo di Fabio Fazio. Ma lui, sopravvissuto a una grave malattia, ha dimostrato di avere gli anticorpi anche per sopravvivere a pregiudizi ed etichette.