Largo ai giovani: tra verifiche, rimpasti e pari dignità l’Italia è tornata ai tempi del Caf
Archiviata alla meno peggio il pasticciaccio brutto del Viminale sul dossier kazako, la politica italiana torna ad avvitarsi intorno al suo vizio più antico: l’autoreferenzialità. Tra i partiti della maggioranza ha ripreso quota il tema del rimpasto, seppur impreziosito dal Pdl con l’offerta di un patto di legislatura in cambio di un riequilibrio di poltrone ministeriali nel governo. Dal Pd hanno risposto picche ed intanto si avvicina il 30 luglio, giorno in cui saranno probabilmente più chiare le conseguenze politiche della decisione della Cassazione sul processo che vede imputato Silvio Berlusconi. Si torna all’antico, dunque, tra tagliandi, verifiche ed invocazioni di pari dignità.
Si tratta di una china assai insidiosa. Finora il governo ha soprattutto rinviato. Lo ha fatto sull’Imu, sull’aumento di un punto Iva e di fatto lo sta facendo sul pagamento dei debiti alle imprese da parte della pubblica amministrazione, per le cui risorse i tecnici stanno cercando le coperture finanziarie. Un bilancio non esaltante, che può essere giustificato solo in parte dalla variegata composizione della “strana” maggioranza che lo sostiene o dal fatto che essendo svincolato da un programma sanzionato dal voto popolare, è costretto ad assecondare le richieste ora dell’uno ora dell’altro partner. Non si esagera affatto se si afferma che l’esecutivo attuale si regge più perché percepito come ultima spiaggia che in virtù delle scelte effettuate e del lavoro svolto. Se l’alternativa a Letta è il caos – come ha lasciato chiaramente intendere Alfano nella sua intervista al Corriere della Sera – ne consegue che la vera polizza sulla vita del governo continua ad essere lo stato di eccezione che ne ha determinato la nascita.
Tutto ciò è senz’altro vero. Però non basta. La legittimazione di un governo, per altro privo di consacrazione popolare, non può essere fornita dall’assenza di alternative ma dalle decisioni che assume, dalle soluzioni che adotta e, ovviamente, dalla fiducia che gode in Parlamento. E qui il discorso si complica parecchio perché i problemi a Letta arrivano proprio dai due maggiori azionisti del suo governo. Il Pdl alterna momenti di grandissima disponibilità a fasi di forte fibrillazioni. Dal canto suo, il Pd si è attorcigliato intorno ad una congresso-faida (copyright Gasparri) il cui esito, qualunque esso sia, sembra regalare poche chanches di permanenza all’attuale inquilino di Palazzo Chigi.
È ancora presto per tranciare giudizi definitivi, ma l’impressione che se ne ricava è che tutto il governo e con esso la maggioranza si stiano per infilare nel dilemma se sia meglio “tirare a campare” o “tirare le cuoia” sul quale si accapigliarono figure di primo piano all’epoca del Caf. C’è davvero da sperare che non accada. La situazione attuale non è quella di un quarto di secolo fa. Stavolta la crisi morde sul serio e nella carne viva di famiglie, imprese, cittadini e territori. In più, i partiti vivono una crisi di delegittimazione senza precedenti. Esistono, insomma, tutti gli ingredienti idonei a dirottare verso uno sbocco “greco” la situazione italiana. E il fatto che il governo ne sia perfettamente consapevole accresce e non diluisce le sue responsabilità.