Misure alternative al carcere per chi commette stupro di gruppo: sentenza-choc della Consulta
No alla custodia cautelare in carcere per il reato di violenza sessuale di gruppo qualora il caso concreto consenta di applicare misure alternative. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, terzo periodo, del Codice di procedura penale. La norma “bocciata” con la sentenza n.232 (relatore il giudice Giorgio Lattanzi) prevede che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per il delitto di violenza sessuale di gruppo, si applica unicamente la custodia cautelare in carcere. Ora la Consulta ha stabilito che, se in relazione al caso concreto emerga che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, il giudice può applicarle. Nella sentenza, peraltro, la Corte conferma la gravità del reato, da considerare tra quelli più «odiosi e riprovevoli». Ma la «più intensa lesione del bene della libertà sessuale non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata», scrive la Corte.
Alla base del pronunciamento una questione di legittimità sollevata dalla sezione riesame del Tribunale di Salerno. Richiamando anche precedenti decisioni la Consulta ricorda in sentenza come «la disciplina delle misure cautelari debba essere ispirata al criterio del “minore sacrificio necessario”: la compressione della libertà personale deve essere, pertanto, contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ciò impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della “pluralità graduata”, predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale, e dall’altra a prefigurare criteri per scelte “individualizzanti” del trattamento cautelare, parametrate sulle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete».
Dura e indignata la reazione del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia: «La misura è colma. Questa sentenza ha qualcosa di incredibile e scandaloso». Per Zaia «è il frutto malato di un Parlamento che non riesce a legiferare in modo severo, di una politica così distante dalle istanze dei cittadini da non saper più né considerare né rispondere al senso comune. È inaccettabile perché così di fatto si declassa uno dei reati più indegni e odiosi e che suscita ribrezzo negli uomini per bene, figuriamoci nelle donne».