Monti ha fatto il miracolo: è riuscito a ricompattare tutti (nel dargli addosso)
Mario Monti è riuscito laddove nessun politico era riuscito. Gli sono bastati pochi mesi di legislatura per ottenere l’unanimità del dissenso e dar ragione ai veleni di Dagospia che fin dall’inizio aveva ribattezzato il suo partito “Sciolta civica”. Dopo aver rotto con Pdl e Pd che avevano sostenuto il suo governo pian piano ha perso per strada anche gli alleati di quel terzo polo che seppur partito con maggiori ambizioni aveva conquistato più del dieci per cento dei voti degli italiani. Il problema del rapporto con Gianfranco Fini glielo ha risolto il deludente risultato dell’Udc, che andando sotto il due per cento ha sfilato a Fli il posto di miglior perdente della coalizione. Con Fini fuori dalla Camera il bocconiano Monti ha fatto finta che Fli non fosse mai esistito. Rimasto solo con Casini ha cominciato immediatamente a smarcarsi da “Pierfurby”, ritenendolo un politico usurato. Così pian piano ha emarginato anche l’Udc ed è rimasto solo con i suoi. A quel punto si è posto il problema della scissione dell’atomo montiano. Andrea Riccardi, leader della Comunità di Sant’Egidio e suo braccio destro in questa esperienza politica, si è sentito poco coinvolto e si è sfilato, così che quel che è rimasto si è diviso in tre microfrazioni: i montezemoliani di Italia Futura, i cattolici del coordinatore Andrea Oliverio, già a capo delle Acli, e di Lorenzo Dellai, ex presidente della Provincia autonoma di Trento, e i lealisti di Monti, da Benedetto Della Vedova a Linda Lanzillotta.
Nella confusione generale nei giorni scorsi è spuntato fuori il furbo Casini, che Monti aveva maltrattato considerandolo un rottame del passato e negandogli il partito unitario con pari dignità, e lanciando un movimento legato al Partito popolare europeo in vista delle prossime elezioni comunitarie ha sfilato a Monti l’anima cattolica, costringendolo a scontrarsi con lo stesso Oliverio, che pochi mesi prima aveva voluto come coordinatore del partito. Un capolavoro di autolesionismo che poteva riuscire soltanto a chi venendo dall’accademia e dai circuiti dei poteri forti internazionali aveva sottovalutato le paludi della politica, dove alla fine prevale chi conosce le regole del gioco e sa rispettare alleati ed avversari.
Ed è così che quello che doveva essere il salvatore dell’Italia, candidato e candidabile a tutto, è finito a litigare con i suoi collaboratori con tutti che lo mollano. L’ultimo in ordine di tempo è stato Francesco De Gregori che oggi criticando la sinistra ha detto di aver votato per Monti alla Camera, ma di esserne già pentito. Come tutti gli italiani che avevano visto in lui una novità nella stantia politica nostrana.