Siamo nella Torre di Babele, per uscirne servono idee nuove. Solo con quelle la destra può rigenerarsi
L'analisi - di Silvano Moffa - 10 Luglio 2013 alle 14:34
Ogni giorno porta la sua pena. Anzi, le sue pene. Tra l’ennesimo declassamento delle non più sopportabili agenzie di rating; i richiami del solito Olli Rehn dalla cattedra di Bruxelles a “mantenere il deficit sotto il 3 per cento del Pil nel 2013” ; i guai giudiziari di Berlusconi, inaspriti dalla inedita velocità della Cassazione, in un Paese sotto botta in Europa per la proverbiale lentezza della giustizia; la confusione che regna sovrana nel governo in materia di Imu, di Iva, di alienazione del patrimonio pubblico per far cassa ed abbattere il debito; la cessione su larga scala dei marchi italiani dal passato glorioso e dal nome altisonante, lasciati soli (senza sostegno dello Stato e delle banche) a far fronte alle frenetiche scalate delle aziende multinazionali straniere; i dati di Agicom che fotografano un Paese terribilmente in ritardo nell’accesso a Internet (solo un italiano su tre è connesso; Quatar, Cile e Messico stanno messi meglio di noi ), con una penetrazione della banda larga che riguarda solo il 23 % della popolazione e il 55 % delle famiglie (in Europa la media è del 72 % delle famiglie e il 28 % della popolazione); con tutto questo sversamento di fattori negativi e di indicibili arretratezze strutturali lo stato depressivo del nostro Paese si accentua.
Il contrario di quel che ci vorrebbe. E’ evidente che ognuno dei problemi citati ( e ne abbiamo enucleato solo una parte) richiede una soluzione specifica. Il guaio è che le soluzioni ritardano e le situazioni si aggravano. Il gioco al rinvio, tanto caro ad Enrico Letta, non aiuta. Anzi danneggia. Se è facile comprenderne le ragioni, tutte interne alla preoccupazione di mantenere una minima coesione di maggioranza tra forze politiche che coese non sono, appaino evidenti i danni e le conseguenze che ne derivano. A leggere le dichiarazioni che ogni giorno spuntano come funghi sulle pagine dei giornali e sui siti web sembra di essere in una Torre di Babele. Il che non è proprio una gran novità per il nostro Paese. Il problema , però, come scrive Gian Maria Fara nella Repubblica delle Api, non è come uscire dalla Torre (il che è impossibile) ma perché ci siamo entrati e come gestire al meglio la nostra permanenza all’interno di essa. La risposta che si dà il sociologo è netta: ci siamo entrati perché costretti e ci viviamo senza prospettive e senza progetti. Le nostre pecche si chiamano: superficialità, presunzione, mancanza di competenza, dilettantismo, assenza di responsabilità. Il tutto mescolato da quella perniciosa idea di usare mezzi artigianali per gestire la complessità. Sempre i soliti paradigmi per rimediare ai nostri guai. Mai la voglia, lo sforzo inebriante e virtuoso di uno sguardo altro, fuori dal coro, fuori dall’ingranaggio. Il Papa, questo pontefice francescano , nel nome e nello stile, che dà fiato e valore alle cose semplici della vita , che infonde coraggio dove alligna la disperazione più cupa, che rinverdisce la cristiana missione della lotta contro gli egoismi impuri dell’edonismo, del consumismo sfrenato e dell’annichilimento dei fattori di umana solidarietà, sprona i giovani ad essere trasgressivi, anticonformisti, creativi. A non appiattirsi.
Parole sante, quelle del Santo Padre. Parole al vento, però, se nessuno si prende la briga di trasferirle su un piano di concretezza. Superando ritrosie e luoghi comuni. Abbattendo stantie formule del passato. Mettendo in campo un Progetto per l’avvenire. Una dimensione alta e altra del vivere collettivo, del procurare beni e servizi, dell’organizzare sistemi istituzionali e creditizi, giudiziari e commerciali. Una volta, oltre al pragmatico lavorio dei governi nella loro quotidianità, c’era il tempo della pausa, della riflessione, del cenacolo. Tempi e modi, stanze e luoghi dove intrecciare pensieri e delineare prospettive. Anche il caos, suggerisce ancora il presidente dell’Eurispes, può avere una dimensione positiva e creativa. Ma non si gestisce la confusione senza fermarsi metodicamente a redigere analisi costi-benefici, senza pianificare ogni singola soluzione, senza superare la fast life , la frenesia artificiosa che fagocita sapori e colori vitali. Quella acerba costrizione che ci immerge nel presente, togliendoci il passato senza offrirci il futuro. “Fasciati da una ipocondria e da una invulnerabilità di derivazione virtuale-mediatica ci sfugge il macroscopico, il perché, il senso delle cose” .
Stupidamente, abbiamo creduto che la perfezione fosse nell’automatismo: l’automatismo finanziario, l’ automatismo della Commissione europea, l’automatismo di leggi incongrue e superate, l’automatismo di rapporti politici, sindacali, comunitari superati dal tempo e così via, all’infinito. Nella grande incertezza che agita la Torre di Babele manteniamo almeno un punto fermo: la consapevolezza che la catastrofe odierna non sia solo finanziaria, economica o politica, ma soprattutto culturale. Chi ha osservato come il pendolo ideologico che per lungo tempo ha oscillato fra destra e sinistra, generando gli eccessi del mercato autoregolato e la bancarotta degli Stati, si sia fermato e non abbia senso farlo ripartire, ha ragione da vendere. Servirebbero idee nuove. E questo, se consentite, è il terreno sul quale una nuova destra potrebbe ri-generarsi, se solo lo volesse.