“Tu chiamalo, se vuoi, New Deal”: gli scontri con De Gasperi sull’economia nei diari inediti di Fanfani

11 Lug 2013 20:37 - di Redazione

La politica com’è, la politica com’era. Ogni tanto fa bene rimeditare sulla lezione degli statisti italiani del passato.  Scampati alle fiamme e ai propositi di distruzione del suo autore, i diari di Amintore Fanfani sono finalmente a disposizione di tutti coloro che hanno voglia di scoprire i retroscena della politica italiana del dopoguerra. Fanfani era gelosissimo dei suoi diari. Li conservava chiusi a chiave in uno stipo della libreria di casa, e per evitare che qualcuno li leggesse portava la chiave sempre con sé, nascosta nel taschino del panciotto. «Questi diari non li leggerà nessuno, li brucerò prima di morire», disse una volta con aria accigliata al suo addetto stampa Ignazio Contu, che aveva osato chiedergli di rivederli insiemi in vista di una eventuale pubblicazione.  I  diari del grande uomo politico di Arezzo verranno ora pubblicati grazie all’iniziativa dell’editore Ribbettino. che ora l’editore Rubettino: si comincia con i quattro volumi che raccolgono il ventennio ’43-’63, altri seguiranno nei prossimi anni. In questi scritti  c’è una mole sterminata di fatti che gettano nuova luce sulla politica italiana. La Democrazia cristiana emerge una volta di più una federazione di uomini con ispirazioni ideali spesso diverse, se non contrapposte. Un colloquio tra Fanfani e De Gasperi del 1950 rivela i due leader scontrarsi duramente: il primo convinto che lo Stato dovesse mettere le risorse per creare lavoro, il secondo fermo sulla linea del rigore finanziario. De Gasperi obietta: «Ma c’è il bilancio da pareggiare!». E Fanfani: «È ora di finirla con questa mistificazione». Ancora De Gasperi: «Ma questo è il New Deal…”. E Fanfani: «Tu chiamalo come ti pare, ma io ti dico che è questo che devi fare…».

Certe annotazioni gettano squarci su un mondo, quello dei leader democristiani di mezzo secolo fa, lontano anni luce dalla politica urlata di giorni nostri. Prudenza, misura e riserbo erano virtù fondamentali. In un incontro dell’8 aprile 1954 De Gasperi dice a Fanfani di aver votato per la Repubblica nel referendum del 1946: «Ma lo fece con tanta riservatezza che la moglie, credendo di interpretare il suo proposito, votò per la monarchia». Dalla lettura dei diari si conferma che Fanfani, per la sua visione keynesiana della politica economica e per la sua costante attenzione verso i socialisti (nel tentativo, condiviso con De Gasperi, di staccare Nenni da Togliatti), ebbe qualche noia con gli ambienti più conservatori. Ci sono tracce degli interventi dei cardinali Siri e Ottaviani contro le aperture a sinistra. C’è persino una lettera minatoria: «Uno che si dice cristiano – scrive Fanfani – mi avverte che è stato scelto a sorte per farmi fuori».

Negli anni del centrosinistra, le preoccupazioni per la sicurezza di Fanfani coinvolgono il cancelliere tedesco Adenauer. In una nota del 12 aprile 1963 Fanfani registra di essere stato informato che Adenauer ha mandato in Italia un agente segreto («Nikita»). «Gli ha detto di seguirmi nei comizi della campagna elettorale. Ha aggiunto che se mi avesse in Germania non avrebbe paura della successione, tanto mi crede valido  capitano . Però prevede delicati i prossimi dieci mesi per me e non si meraviglierebbe mi costassero la vita». Non ci sono altre notazioni di questo tipo. Ma il pensiero corre subito a quel «tintinnare di sciabole» di cui avrebbe parlato Pietro Nenni l’anno seguente. E ancora se ne parla da quasi cinquant’anni.

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