Una cabina di regia per la spesa razionale dei fondi europei

15 Lug 2013 15:46 - di Silvano Moffa

Siamo alle solite. Continuiamo a spendere poco e male i fondi europei. Dei 50 miliardi a disposizione per il programma 2007-2013, l’Italia ne ha spesi solo 20 e rischia di perderne 5 a causa dei ritardi. Verrebbe da chiedere dove sia la notizia, visto che, da quando esistono i fondi strutturali  e i progetti europei,  non siamo mai riusciti a metterci in linea con i tempi richiesti. Né mi pare ci si possa mettere un fiore all’occhiello per il modo in cui sono stati impiegati quei fondi, salvo rare e lodevoli eccezioni. Se ancor oggi scontiamo ritardi infrastrutturali che fanno paura e siamo collocati ai livelli bassi della classifica europea è perché fatichiamo ancora ad assimilare metodi , forme e sistemi  per rendere spediti gli impieghi e certi i finanziamenti. Non solo. Nella frammentazione di un regionalismo, troppo incline a subire spinte localistiche e poco attento ad integrare i territori  al di là dei perimetri amministrativi, proiettandoli verso una visone di insieme ed un quadro di correlazione che ne faccia crescere le potenzialità di sviluppo, arranchiamo maledettamente nella individuazione degli asset  strategici del nostro Paese.

Insomma, elementi di natura tecnica  e culturale si sommano in un mix di inefficienza, pressapochismo e burocratismo fine a se stesso. Prendiamo la voce “attrattori culturali”. Qui ci sono risorse consistenti da prendere per valorizzare buona  parte del nostro prezioso patrimonio archeologico, storico e artistico. Ebbene, se andate a indagare sul contenuto di molti dei progetti  in cantiere,  resterete di stucco. Alla scarsa qualità di alcune proposte progettuali si accompagnano finanziamenti a pioggia per sagre paesane e festival cittadini che la dicono lunga sulla qualità della spesa. Si dirà: è una storia vecchia. Certo. Ma non si fa nulla per cambiarla.

I fondi strutturali sono stati concepiti per finanziare opere pubbliche di portata strategica. Invece, da noi, nella maggior parte dei casi quei fondi vanno a sostituire la spesa ordinaria. Si dice: i Comuni non  hanno risorse sufficienti. Bisogna aiutarli in qualche modo. Ed allora si usano quei soldi e si fa finta di non sapere che il finanziamento europeo è “aggiuntivo” e non sostitutivo. Aggiuntivo, vale a dire che si tratta di risorse utili per implementare sviluppo, occupazione e per  superare definitivamente il gap di  arretratezza di alcune aree del Paese,  come  il nostro Mezzogiorno. Risorse concepite  per assecondare i  processi di modernizzazione dei territori svantaggiati,non per disperderle con qualche furbizia di troppo nei rivoli di una spesa pubblica che ha poco o nulla a che vedere con l’idea di fondo che le ha ispirate. Così ,accade che molti progetti europei vengano scartati. Mentre quelli che sopravvivono si scontrano con i ritardi cronici della macchina amministrativa; vanno ad incastrarsi nel reticolo a maglie strette della pubblica amministrazione; si inceppano nella trafila imponente delle certificazioni e della autorizzazioni richieste anche per spostare un palo della luce.

Eppure basterebbe poco per mettere ordine in siffatta materia e  non  perdere   l’unica opportunità che abbiamo di intercettare risorse vitali. Basterebbe metter in piedi una cabina di regia , una agenzia di coordinamento, creare un luogo certo dove si discutano ex ante  le scelte e si seguano ex post  i progetti da realizzare. Un punto di riferimento che si occupi di programmare gli indirizzi, fissare  le procedure, scandire  step , procedure ed attività, stabilire un crono programma con tanto di penalizzazioni per le regioni che non lo rispettano, compreso il  commissariamento per gli enti inadempienti. E’ esattamente quel che fanno gli altri paesi, per non incorrere nel definanziamento, con il rischio di perdere per  sempre le somme assegnate.

Per  fare  altrettanto, occorre eliminare alcune incrostazioni. Altrove, il regionalismo non ha assunto le forme esclusive e dirompenti  verso lo Stato come da noi.  Né  le contrapposizioni politiche , per quanto forti e radicate ai livelli nazionali e locali, fanno velo all’interesse comune rappresentato dalla preoccupazione che i Paesi hanno di portare a casa  da Bruxelles quanto più risorse possibili. Quando si tratta di difendere il Bene comune, spagnoli, francesi, tedeschi  sanno essere coesi e non guardano in faccia nessuno. Possiamo dire altrettanto per come si muove in Europa  la nostra politica ?

Fatto sta che se non cambiamo celermente queste nostre abitudini; se non mettiamo mano alle riforme che servono; se continuiamo a piangerci addosso per la criminalità invasiva che blocca le opere pubbliche in molte zone del Sud Italia; se non facciamo altro che lamentarci senza costrutto degli ostacoli della burocrazia  e della instabilità degli assetti di governo in molte aree del Paese;  non ne verremo mai a capo. Continueremo a naufragare in questo mare. Ma il naufragar non sarà dolce, come immaginava il poeta.

 

 

 

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