Una “nuova” destra o la destra “di nuovo”?
13 Lug 2013 19:09 - di Marcello De Angelis
Mi sono iscritto al Msi il 16 ottobre del 1973. Da allora sono sempre stato coinvolto in politica, seppure in funzioni molto differenti: eversore e parlamentare, incendiario e pompiere. Forse per mancanza di fantasia ho sempre seguito il “flusso” del mio gruppo di riferimento, senza mai fare strappi o cambiare casacca. Non sono mai stato meritevole di ruoli di primo piano, forse per la mia incapacità di “rinnovarmi”. Ho partecipato negli ultimi 15 o 20 anni, immeritatamente e non tra i più autorevoli. Ai periodici dibattiti – chissà perché sempre estivi – sulla cultura di destra. Dibattiti solitamente lanciati da personee non di destra che ci accusavano di non essere all’altezza di rappresentare la destra. Anche quando andavano di moda le “svolte” chiracchiane, thatcheriane o popperiane, ho sempre banalmente ripetuto le stesse formule della destra sociale, interpretate dalla rivista Area dei tempi eroici e da Giano Accame. E sono sempre stato considerato ottuso e refrattario al cambiamento. È forse è vero. Ora, il dibattito si ripropone ma con caratteristiche meno culturali e più politiche. E moltissime persone che si sono sentite coinvolte e illuse (anche da me) in questi 20 anni, mi chiedono: perché le cose che oggi dite che dovrebbe fare la destra non le avete fatte quando eravate ministri, sottosegretari, leader di partito, vertici delle amministrazioni e delle aziende pubbliche? E io, francamente, non so cosa rispondere, perché è una domanda che mi pongo anch’io. Il problema dei leader, dei capi e dei guru – oltre al fatto di dare per scontato che anche se tutto cambia non cambia il fatto che i capi o i guru devono essere sempre loro – è che c’è sempre qualcuno che inevitabilmente li giudica per quello che hanno fatto o non fatto le altre dieci volte che gli è stato dato il potere di cambiare le cose. Due cose non si possono perdonare a un capo: non aver realizzato i cambiamenti che i suoi seguaci si aspettavano mandandolo al potere e aver fatto crescere intorno a se’ gli immeritevoli a discapito dei meritevoli, imponendo alla nazione dirigenti ignobili che solitamente tradiscono e abbandonano quando i mentori cadono in disgrazia. Certo, oggi forse per molti rifare la destra e’ un problema di sopravvivenza personale. È per me e un progetto interessante. Ma vorrei sapere cosa rispondere a chi chiede: perché tutte queste cose non le avete realizzate quando vi abbiamo dato il potere di farlo? Se è’ vero, come diceva Giano, che l’identità della destra è il coraggio, le persone non si giudicano da quello che dicono – o da quello che scrivono di volta in volta – ma da quello che hanno fatto dinanzi a una scelta difficile o non hanno fatto quando gli è’ stato dato il potere di fare. Una nuova comunità di credenti e combattenti? La sogno come tanti altri ma, non essendo io un leader, aspetto che qualcuno mi dimostri di essere un vero credente che voglia combattere per tutti e non solo per se stesso.