Il rompicapo dell’agibilità politica di Berlusconi non si risolve. E le elezioni ad ottobre non sono possibili. L’Italia in panne

7 Ago 2013 14:14 - di Gennaro Malgieri

Silvio Berlusconi ha dato i quindici giorni al Quirinale, alle forze politiche, ai suoi stessi dirigenti affinché risolvano il rompicapo che lo tiene in apprensione o si torna subito alle elezioni. L’una e l’altra prospettiva non sono praticabili, come ormai si è capito. L’agibilità politica che chiede non gliela può garantire nessuno perché non c’è nessuna scappatoia alle regole a cui è sottoposto. Il capo dello Stato glielo ha detto in maniera esplicita e quasi tutti nel Pdl hanno preso atto del muro che si è alzato davanti al Cavaliere. Sarà quando sarà, ma il destino segnato dalla sentenza di condanna non ammette purtroppo deroghe, così come la decadenza e la ineleggibile non sono aggirabili. Pensa di potersi comunque  ricandidare ad ottobre, prima che i fati si compiano, e perciò sussurra (si fa per dire) ai suoi di tenersi pronti allo scioglimento delle Camere.

Ma neanche questa prospettiva è alla sua portata. Napolitano non scioglierà il Parlamento pendente una procedura di dichiarazione di illegittimità della legge elettorale: ci mancherebbe pure che un mese e mezzo dopo deputati e senatori venissero mandati a casa da un provvedimento dell’ufficio centrale elettorale presso la Corte di Cassazione appunto perché eletto illegittimamente. Cade il governo? Se ne fa un altro: un Letta bis con il solo scopo di riformare la legge e poi eventualmente chiamare gli italiani al voto. Non c’è alternativa. Almeno così sembra. E molti nel Pd, a cominciare dalle cosiddette “colombe”, ne sono consapevoli. L’intervista di Quagliariello, contestata da alcuni esponenti di primo piano del partito, è la prova della impossibilità di far cadere Letta a prescindere dalle conseguenze che si produrranno.

Nessuna crisi senza sbocco, dunque. E’ intorno a questa presa d’atto che giorno dopo giorno si indeboliscono coloro che immaginavano davvero, ma senza fondamento, praticabile una soluzione politica per annullare gli effetti della condanna. E per quanto Berlusconi goda di un cospicuo credito nel Paese, lui stesso sa che ad impossibila nemo tenetur.

Si tratta – ma nel clima rovente di questi giorni nessuno sembra disposto a curarsene – di riarticolare il centrodestra, imperniato attorno alla rinata Forza Italia, e guardare in prospettiva: la scadenza di primavera potrebbe essere praticabile profittando delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. A quel punto dovranno essere messi in campo un altro leader che abbia agibilità politica e possibilmente una squadra che innovi profondamente il lessico, il programma e lo stile dell’aggregazione che si formerà.

Naturalmente sullo sfondo resterà, non come semplice spettatore, sempre Berlusconi che inevitabilmente detterà tempi e modi di una nuova strategia.

Non sappiamo quanti si siano resi conto della gravità delle situazione. Sui giornali leggiamo sconsiderate elucubrazioni che non portano a niente. Malgrado ogni possibile sforzo, la condizione del Cavaliere è quella che è. E siccome non è il solo a determinare il quadro politico bisognerebbe impegnarsi a tener conto delle opzioni realistiche per non perdere un elettorato che è oggettivamente frastornato. Immaginare, come fa qualcuno, che con il ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, avverso le considerazioni inopportune e gravi del giudice Esposito, si possa continuare a sperare in un ribaltamento del tutto è soltanto un modo per esorcizzare il problema che è gigantesco.

Abbiamo l’impressione che Berlusconi l’abbia capito, ma molto del suo inner circle ancora no.

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