Incognite inquietanti sulla Siria. I conservatori americani prendono le distanza dall’avventurismo di Obama
Il filosofo conservatore Michael Novak, ben conosciuto in Italia (è stato tra l’altro nel comitato di direzione del quotidiano Liberal), in un’intervista rilasciata al Corriere della sera sul previsto attacco anglo-americano alla Siria, ha liquidato con molto realismo l’operazione. “Assad – ha detto – poteva e doveva essere rimosso un anno fa, quando era più debole di adesso e l’opposizione era più forte. Obama ha sbagliato a non tentare di farlo, le possibilità che ci riuscisse erano buone. Ma a questo punto, se fossi in lui non ci proverei. E’ troppo tardi, e anche se avesse successo, cosa di cui non lo ritengo capace, le conseguenze potrebbero essere negative. In futuro? Non saprei. Mi auguro che Assad venga deposto e che forze moderate prendano il potere. Ma è impossibile prevedere che cosa accadrà in Siria nei prossimi mesi”.
Novak ha ragione. E dice quello che tutti pensano. Se l’obiettivo non è la deposizione di Assad – impossibile nelle attuali circostanze e soprattutto con un attacco dal mare, senza cioè inviare truppe come accadde in Iraq per scovare e mettere fine al potere di Saddam Hussein – a che cosa serve una guerra che certamente rinfocolerebbe l’incendio in Medio Oriente? Volontà di potenza? Neppure per sogno. Le ragioni geopolitiche e militari americane portano ad escluderlo. Soprattutto se il potere di Assad non verrà scalfito. Una prova di forza, dunque, nel Mediterraneo, dimostrativa più che altro, che dovrebbe mitigare le pretese egemoniche di Putin nell’area e spaventare almeno un po’ l’Iran. Ma è illusorio. Obama dà l’impressione di non sapere con chi ha a anche fare. E si troverà, per di più, se il suo progetto bellico dovesse prendere consistenza nelle prossime ore, oggettivamente “alleato”, suo malgrado, con terroristi della peggiore specie che non certo in nome della libertà combattono il tiranno di Damasco. Sono manutengoli di Al Qaeda, perlopiù, e jihadisti di varia coloritura che non sarebbero migliori del nemico che pretendo di debellare.
Sempre Novak osserva che i ribelli siriani “non sono più quelli di un anno fa. Un anno fa erano, direi, puliti, erano cioè in prevalenza forze democratiche. Oggi sono inquinati, nelle loro file si nascondono terroristi di Al Qaeda ed estremisti islamici di ogni tipo. No si può consegnare loro il potere”.
Trascurare questo allarme è irresponsabile. Bisognerebbe chiedere ad Obama, Cameron e Hollande che cosa li spinge davvero all’intervento cui peraltro l’Onu non offre il suo appoggio e l’Unione europea si tiene a debita distanza. Per una volta l’Italia ha preventivamente negato basi e coperture ad un “azzardo” che potrebbe aver nefaste ripercussioni sulla sicurezza continentale. La Bonino, al riguardo, è stata molto chiara e determinata. Il fatto che non si sia compreso l’intento che muove i “guerrafondai”, è significativo ed ingenera molte illazioni. D’accordo: l’uso di armi chimiche non può restare impunito. Ma altrettanto non possono restare senza risposte gli omicidi di novantanovemila civili che dal 2011 ad oggi non hanno commosso nessun Grande della Terra inducendolo ad intervenire politicamente per tentare di mettere fine al massacro.
È improbabile quindi, per le modalità che si conoscono dell’intervento contro la Siria che Assad faccia la fine di Saddam o di Gheddafi. E quant’anche accadesse, bisognerebbe ricordare che proprio la caduta del dittatore tripolino non ha aperto la strada alla democrazia, né ad una migliore e più ordinata qualità della vita. E’ sempre bene prima di intraprendere avventure come quella annunciata che si costituisca un’alternativa credibile a chi si vuole abbattere. E a tal fine dovrebbero agire la politica e la diplomazia. A Damasco di una possibile alternativa ad Assad non si vede neppure l’ombra. E’ più facile, se la situazione dovesse precipitare, che la Siria diventi un protettorato iraniano che un Paese recuperato alla ragionevolezza.