Ingegni “esodati”: la storia di Wise, l’impresa d’avanguardia costretta a trasferirsi in Germania

31 Ago 2013 14:21 - di Silvano Moffa

Dopo la perdita di prestigiosi marchi del Made in Italy, il trasferimento all’estero di  importanti settori industriali  e  la cessione di intere linee produttive  del nostro apparato aziendale, ora tocca al  know-how. Come dire  che anche la  creatività, propria di quel genius che appartiene alla stirpe italica e di cui possiamo a ragione menar vanto, va a farsi benedire. Nella Grande Crisi che ci attraversa, percuote ed offende, quel che di innovativo riusciamo ad inventare, grazie ad una dote acuta di intelligenza che il buon Dio ci ha donato, è costretto ad emigrare,a seguire altre rotte, a cercare fortuna altrove. Un esodo tanto triste quanto imponente. Una resa incondizionata ,  bandiera bianca innalzata a segnare l’ennesima sconfitta di quell’idea di sviluppo, sulla quale pur dovremmo concentraci per capire quale dovrà essere il nostro  destino di Paese,  quale il livello competitivo socio-economico-produttivo su cui  posizionarci, mostrando il meglio di quel che abbiamo e possiamo fare con le nostre forze, la nostra capacità di impresa, coniugata con l’ inventiva che appartiene alla genialità, appunto. No, questa volta non stiamo parlando soltanto di cervelli che se ne vanno. Anche se l’esito della vicenda è lo stesso. Stiamo parlando di una storia, per alcuni versi, diversa. Ma per questo non meno inquietante. È la storia di un gruppo di nanotecnologi  dell’Università di Milano che inventa nuovi tipi di elettrodi per neuro-stimolatori. Tecniche meno invasive, compatibili con i tessuti biologici, utili per curare pazienti traumatizzati, dolori cronici, paraplegici. Sistemi adatti ad affrontare disturbi cognitivi e obesità. Insomma, una di quelle idee ,frutto di studi complessi , di genialità  e di infinite sperimentazioni, che non lascia spazio a dubbi sulla sue utilità e ricadute applicative. Bene. A questo punto, che cosa fanno i ricercatori? Mettono in piedi una società di Start-up. Quelle, per intenderci,  di cui si parla in ogni bando di gara europeo, menzionate in quasi tutte le leggi sfornate negli ultimi anni in tema di sviluppo e di crescita (tema, in verità, più declamato che praticato); quelle che, per affermarsi, richiedono un minimo di aiuto finanziario e  una buona dose di intraprendenza. Nasce, così,  Wise (Wiringless Implantable Stretchable Electronics).

“Nel 2011 – racconta al Corriere Paolo Milani, docente dell’Università di Milano e co-fondatore di Wise –   riuscimmo a trovare 80 mila euro con seed capital, altri 300 mila ci vennero garantiti da Veneto Nanotech e ulteriori 200 mila da vari bandi. Così si iniziò a lavorare”. I risultati non tardarono. Ad ottobre dello scorso anno, la Wise ottiene in Danimarca il riconoscimento europeo assegnato alla migliore Start-up dell’Unione per una innovazione di elevato grado di sviluppo. Un riconoscimento ambito. Un successo europeo che avrebbe dovuto aprire le porte di istituzioni, banche, fondazioni e quant’altro nel nostro Paese  fosse in grado di fornire ulteriori finanziamenti all’impresa. Per consolidarla, aiutarla a crescere , proteggerne il valore, tutelare il know-how. Invece, non accade nulla di tutto questo. Porte chiuse. Risposte evasive. Un gioco di rinvii estenuante. Finchè arriva la proposta di un venture-capital tedesco pronto ad investire 500 mila euro per lo sviluppo dei nuovi  stimolatori. Il partner  teutonico pone, però , un’unica condizione: che tutto venga trasferito in Germania. Così una Start-up, concepita in Italia da scienziati italiani, nel giro di poso tempo, assumerà i caratteri di società di diritto tedesco, sarà inserita in un incubatore e potrà accedere ai fondi europei.  “Si fa un gran parlare di investimenti e di iniziative – è l’amaro sfogo del prof. Milani – ma quando si scende nel concreto il nostro Paese non si mostra in grado di trattenere l’alta tecnologia. Abbiamo toccato con mano la scarsa professionalità degli approcci italiani, la quasi inesistente propensione al rischio e l’assenza della considerazione del tempo in cui agire. Pur non chiedendo grandi investimenti”. Pezzo dopo pezzo, la spoliazione del Bel Paese prosegue inarrestabile. Nelle sue bellezze, nella sua arte, nell’ingegno che, stupefacente, sovrasta ogni quotidiana miseria. Nel dono e sacrificio di una cultura scientifica, tecnica, all’avanguardia nel mondo , cui si tolgono  fiato e speranza.  Questa è l’Italia di oggi. Una Italia che si guarda allo specchio. E vede, nonostante tutto, intatte le sue infinite potenzialità. Ma , al tempo stesso, osserva esterrefatta come esse siano compresse e annullate. Private dello spazio necessario per farle uscire allo scoperto, per renderle forti, concrete, fattore dinamico e vincente di un settore industriale che langue e di una politica economica che  dissipa risorse infinite. Torna alla memoria l’aneddoto di Michelangelo. A chi gli chiedeva estasiato come avesse fatto a scolpire il David, Buonarroti   rispondeva di aver eliminato il superfluo dal blocco di marmo su cui lavorava. Il David era già lì dentro, in quel masso informe. Occorreva, soltanto, permettergli di uscire. Nelle parole di Michelangelo scorgiamo  la metafora della nostra condizione attuale. Abbiamo tutto. Siamo ricchi di potenzialità. Alcune di queste, come sappiamo, ce le ha regalate il buon Dio. Altre ce le siamo date da soli. Abbiamo pregi, talenti, eccellenze. Ma il difetto maggiore è che non  si fa nulla per dar loro modo di venir  fuori.

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