Letta ha scelto il partito. La coalizione è virtualmente in crisi
Che Letta si fosse tirato la zappa sui piedi era chiaro ed infatti noi lo avevamo prontamente registrato. Che imprimesse un’accelerazione così rapida alla fine del suo governo lo sospettavamo, ma fino all’ultimo nutrivamo la segreta speranza che non accadesse. Il premier, tanto per essere chiari, ha scelto il partito e ha scaricato la nazione i cui interessi non coincidono, con tutta evidenza, con quelli di Berlusconi, ma s’intrecciano con una politica anomala, malata, contraddittoria dentro la quale si aggrovigliano i poteri dello Stato ed almeno uno, quello esecutivo, dovrebbe avere la forza di restarne fuori, di elevarsi al di sopra della mischia e dunque di non essere parte. Letta ha scelto di essere parte. E così non soltanto ha ristretto le “intese”, ma le ha mandate letteralmente a carte quarantotto.
Uno spettacolo non edificante. Affondare un governo per avallare una battaglia politico-parlamentare dalla quale si sarebbe dovuto astenere. Proprio lui, il più europeista delle giovani leve, non si è reso conto che il suo atteggiamento cozza con le esperienze continentali più significative: quando mai s’è visto un premier parteggiare così apertamente per la fine (perché di questo si tratta, sia chiaro) del capo di uno dei partiti della coalizione che lo sostiene? Il silenzio, in questa occasione più che in altre, sarebbe stato davvero d’oro. Letta non ha ritenuto di osservarlo. Non gli si chiedeva certo di prendere pubblicamente le difese del Cavaliere, naturalmente, ma ci si attendeva quella prudenza che dovrebbe essere sempre alla base di un processo di pacificazione come si pretendeva al momento dell’insediamento del governo.
Adesso il percorso è tutto in salita. Anzi, al contrario: è una ripidissima discesa che le forze politiche, nessuna esclusa, hanno imboccato senza freni e a fari spenti. In fondo non si vede niente. Niente, infatti, è l’almanaccare di maggioranze alternative, spostamenti interessati di voti nel segreto, di aiuti da parte dei grillini per rimettere il solito Letta – ritenuto, dunque, buono per tutte le stagioni – in sella dopo la inevitabile caduta, di pasticci all’italiana confondendo al Senato astensioni e abbandoni d’aula…
Andremo avanti nei prossimi due mesi facendoci ridere dietro da tutto l’Occidente. Berlusconi inibito dall’attività politica, decaduto da senatore, ristretto ai domiciliari. La sinistra che ringrazierà la magistratura e si preparerà al suo storico boom atteso da vent’anni senza un’idea, un leader, una prospettiva. I grillini canteranno vittoria come se avessero preso la Bastiglia. Il Pdl o come si chiamerà in pieno marasma. Grandi manovre in tutti gli schieramenti mentre il Paese affonderà.
Il senso del flop, come è stato definito l’incontro tra Letta ed Alfano avvenuto ieri (com’era facile immaginare), è tutto qui. I “partitanti” si sono guardati negli occhi ben sapendo che nessuno avrebbe cambiato idea. Premier e vicepremier hanno preso atto dell’impossibilità di un “ritorno al passato” e dell’impraticabilità di un cammino unitario nel prossimo futuro. Si sono stretti la mano, senza guardarsi in cagnesco poiché entrambi sapevano che sarebbe finita così. E si sono detti arrivederci in attesa di dirsi definitivamente addio, il che avverrà non appena sarà formalizzata la decadenza di Berlusconi e dopo il suo discorso al Senato del quale – curiosamente – abbiamo già letto irrituali “anticipazioni” che probabilmente avranno meravigliato lo stesso interessato.
Una lunga storia sta per finire.