“Sangue” amaro a Locarno, premiato il film con l’ex brigatista Senzani in versione eroica. Interrogazione del Pdl
Uno dei più efferati brigatisti rossi mai pentito, Giovani Senzani, plurisequestratore e assassino di Roberto Peci, sale in cattedra e racconta con piglio cinico e quasi arrogante come andò quell’orribile omicidio, la sua preparazione, le modalità. Un racconto choc. Sembra incredibile eppure tutto questo accade nel film Sangue di Pippo Delbuono, insignito al Festival di Locarno con il Premio “Don Chisciotte”, riconoscimento sul quale naturalmente è piombata una bufera di polemiche. Uno sfregio che grida vendetta. In Francia i terroristi non possono neppure essere intervistati, da noi vivono momenti da superstar. «Gli abbiamo bendato il volto perché non riconoscesse né avesse consapevolezza del momento… Abbiamo poi portato via la salma per non lasciarla in un luogo orribile». È un lungo passaggio in cui Senzani in persona racconta i dettagli dell’uccisione di Roberto Peci, l’operaio che aveva l’unica colpa di essere fratello di Patrizio, brigatista pentito e quindi “traditore”. Una morte da Senzani voluta ed eseguita. Il suo racconta non contiene pentimento, ripensamento e ha fatto inorridire, tra gli altri, proprio Gian Carlo Caselli, il primo giudice istruttore ad interrogare Roberto Peci: «Impossibile per me tacere», scrive sul Fatto Quotidiano il magistrato rievocando l’efferatezza e l’indifferenza con cui Sanzani diresse e orchestrò l’assassinio. Come è possibile che una pellicola che ferisce la sensibilità collettiva possa essere stata realizzata con la collaborazione di Raicinema (per ora ignoto il finanziamento) e pure della Cineteca Nazionale e della Radiotelevisione svizzera (50mila franchi il contributo, poco più di quarantamila euro) non è dato sapere, per ora, ma il Pdl ha già presentato un’interrogazione sul contributo della Rai. Risibile e sconcerante la risposta del regista alle accuse di apologia in un’intervista su Repubblica nella quale sottolinea che «le critiche arrivano da chi non ha visto il film che parla di esseri umani, non di brigatisti e della verità più profonda, la morte attraverso il racconto della perdita della persona più cara che ho, mia madre, e di un uomo che ha ucciso un altro uomo». Parole in libertà. «Non mi interessa essere politicamente corretto. Sono un artista. Volevo vedere in faccia il mostro». E alla domanda sul perché non far parlare anche i parenti delle vittime del “mostro”, risponde che non intendeva fare un documentario sugli anni di piombo. Tanto per non far mancare nulla nel film Sangue sono stati ripresi persino i funerali di Prospero Gallinari, carceriere di Moro e killer della sua scorta. Una brutta vicenda che riapre ferite mai rimarginate. La motivazione del premio fa ancora più male: «Attraverso la morte si parla delle rivoluzioni, del sangue, ma soprattutto dell’amore, della vita». Sono parole da dimenticare, come il volto di Senzani che, anche nella conferenza stampa di Locarno, non ha mai fatto cenno alla rilevanza spaventosa del suo gesto. Per carità, non chiamiamolo cinema.